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Le trame di Renzi per fare cadere anche il governo Meloni

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I Graffi di Damato

Il cosiddetto terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi fa naturalmente parte delle opposizioni che la manovra del governo di Giorgia Meloni ha diviso fra di loro e al loro interno.

Calenda, si sa, pur nel contesto di un giudizio negativo sulla legge di bilancio, sta per incontrare la presidente del Consiglio. E si è già guadagnato da Piero Ignazi su Domani il sospetto o l’accusa, come preferite, di essere in “marcia” di avvicinamento all’esecutivo di centrodestra, anche nell’ultima edizione di destra-centro. Ma Renzi in una lunga intervista alla Stampa, pur condividendo il confronto che sta per avvenire a Palazzo Chigi, ha tenuto a precisare che l’iniziativa è stata di Calenda, non sua quindi. Lui, come vedremo, ha altri progetti o sogni sulla Meloni, alla quale riconosce o addirittura invidia, da ex presidente del Consiglio, solo il merito di avere portato alla guida del Ministero della Giustizia uno come Carlo Nordio. Al quale -chissà- avrebbe forse dovuto pensare anche lui quando fece il suo governo, nel 2014, ma preferì puntare su Nicola Gratteri, bocciatogli perché magistrato ancora in servizio dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che per lo stesso motivo però avrebbe detto no anche a Nordio, andato in pensione solo tre anni dopo.

Venuta meno l’ipotesi di Gratteri, non proprio un garantista come Nordio, a dire la verità, Renzi dovette ripiegare sul suo allora collega di partito Andrea Orlando. Sul quale sentite che cosa ha detto ora alla Stampa, sapendolo impegnatissimo nel Pd sul fronte di una nuova alleanza con i grillini: “Fa il ministro con tutti, ha sempre questa faccia contrita che dice “mi tocca fare il ministro”. Poi l’ha fatto con tutti: Renzi, Gentiloni, Letta, Draghi”. Ai suoi ex colleghi di partito Renzi non risparmia certamente giudizi urticanti quando ne ha l’occasione, ad eccezione di Stefano Bonaccini. Di cui, sempre parlando alla Stampa, ha tenuto a sottolineare la perdurante amicizia, non compromessa neppure dalla condizione attuale di candidato alla segreteria del Pd.

Ma torniamo ai rapporti col governo in carica. Ciò che Renzi persegue non sembra proprio il supporto attribuitogli dagli avversari senza distinzione da Calenda, se non di qualche forma o battuta. No, anche nei riguardi della Meloni e del governo con poco più di un mese di anzianità Renzi ha rivendicato il suo ruolo di rottamatore. “Io -ha detto testualmente alla Stampa– sono quello che i governi li fa cadere. Come insegna Sorrentino nella Grande Bellezza, la cosa bella non è organizzare la festa, ma avere il potere di farla fallire”. Cioè di fare la festa all’incontrario, come si dice del resto in gergo popolare, nel quale fare la festa a uno, o a una, significa farlo o farla fuori: nel caso della povera Meloni, una specie anche di femminicidio politico sognato dal rottamatatore proprio nel giorno in cui Palazzo Chigi è stato illuminato di rosso, come il Senato e la Camera, nel segno della lotta alle violenze contro le donne.

“Io -ha insistito e spiegato Renzi- non faccio inciuci. L’ultimo che l’ha detto è Conte e deve ancora riprendersi dalla botta che ha preso. Ma so che nel 2024 alle elezioni europee il governo rischierà di andare a casa. Lì saremo pronti”. Specie se da quelle urne, come lo stesso Renzi ha sognato in un altro passaggio dell’intervista, il cosiddetto terzo polo dovesse uscire meglio di tutti.

Probabilmente Renzi pensa di poter incrociare i suoi sogni con l’insofferenza di Forza Italia nella maggioranza, amplificata oggi dal Riformista di Piero Sansonetti con questo titolo di prima pagina all’ennesima intervista del vice presidente berlusconiano della Camera Giorgio Mulè: “Forza Italia critica la manovra e avverte Giorgia: attenta, non ti libererai di noi”. C’è comunque un errore nel titolo della Stampa all’obbiettivo o sogno di Renzi. L’anno del melonicidio -come il draghicidio denunciato a suo tempo da Marco Travaglio- non sarebbe già il prossimo ma quello ancora successivo.

 

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