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Le ultime mosse di Berlusconi e Renzi

Renzi

I Graffi di Francesco Damato

Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, in ordine rigorosamente alfabetico, sono un po’ i leader dell’ossimoro. E’ stupefacente la loro prevedibile… imprevedibilità negli schieramenti politici dove si trovano in condizioni di comune disagio: l’uno all’opposizione con gli scomodi Matteo Salvini e Giorgia Meloni, l’altro al governo con gli scomodi, anche loro, Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti e compagni di Pier Luigi, Bersani, Massimo D’Alema e altri ancora usciti a suo tempo dal Pd in odio a lui, che ne era ancora il segretario, pur dopo avergli fatto perdere anche da presidente del Consiglio -ricordate?- il referendum del 2016 sulla riforma costituzionale. Che, se approvata, ci avrebbe forse risparmiato molti degli inconvenienti attuali nella gestione, per esempio, dell’emergenza virale a sostanziale mezzadria fra governo e regioni.

I due leader dell’ossimoro furono già protagonisti insieme di una stagione politica nota come quella del “Patto del Nazareno”, che coronò peraltro il sogno di Giuliano Ferrara. Egli scrisse un saggio di un certo successo per dipingerli, rispettivamente, come il padre e il figlio, il re e il royal baby. Ricordate anche questo? E chissà quanto sarebbe durata quell’esperienza, e con quali risultati forse buoni per il Paese com’è invece ridotto adesso, se involontariamente, ma molto involontariamente, non li avesse fatti litigare Sergio Mattarella salendo nel 2015 al Quirinale, spintovi solo da Renzi. Che poco meno di due anni dopo se ne pentì, secondo me, lasciandolo pure capire ogni tanto con qualche stilettata verbale, perché si vide respingere dal Quirinale la richiesta delle elezioni anticipate dopo una sconfitta referendaria avvenuta col 40 per cento dei sì: insufficiente di certo a vincere quella partita ma più che sufficiente a vincere quella eventuale delle elezioni politiche se l’ancòra segretario del Pd avesse potuto accedervi.

Nella sua prevedibile, ripeto, imprevedibilità il giovane Renzi -questa volta inverto l’ordine dei fattori, tanto il risultato non cambia- ha spiazzato i tifosi della crisi con un accordo, compromesso o qualcosa del genere fra la sua delegazione e Conte in persona per andare avanti, senza fare dei guai del guardasigilli o del problema dei migranti da regolarizzare per i raccolti agricoli un’occasione di rottura.

Il vecchio Berlusconi, dal canto suo, ha permesso ai suoi, al Senato, di condividere quanto meno la presentazione di una mozione di sfiducia individuale al ministro della Giustizia dopo averlo escluso per questioni di principio. “E’ una deroga di cui ho preso atto”, ha detto Renato Schifani sapendo che Forza Italia è stata sempre contro questo strumento parlamentare di lotta politica da quando la sinistra cominciò ad usarlo, nel 1995, contro Filippo Mancuso, destinato a diventare parlamentare berlusconiano ma allora ministro della Giustizia del governo di Lamberto Dini. Che lo scaricò, su pressione di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale e dell’allora Pds-ex Pci, per avere osato sfidare la potentissima Procura della Repubblica di Milano -quella delle indagini più o meno epiche sul finanziamento illegale della politica- disponendo un’ispezione non arbitraria ma prevista dalla legge.

Salvini, già infastidito dalla rappresentazione che se ne fa come di un leader in difficoltà nel suo stesso partito, ha comprensibilmente gioito del cambiamento di posizione di Berlusconi sulla mozione leghista contro Bonafede, la coerenza un po’ meno. A meno che per coerenza non si intenda l’ossimoro, dicevo, della prevedibile… imprevedibilità.

L’articolo tratto da I graffi di Damato

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