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Le ultime tensioni fra Lega e M5S

Salvini

I graffi di Damato sull’assalto giustizialista alla Lega e al suo leader Matteo Salvini dopo il caso Arata

Di piatto, ormai, non c’è solo, o non c’è più, il tipo di tassazione proposto dalla Lega per tentare la rianimazione dell’economia italiana, già riuscita in altre parti del mondo considerate però eretiche dai sapientoni dell’Unione Europea. Di piatto c’è anche, o soltanto, il tipo d’intervento dannatamente casuale, per carità, della magistratura nelle congiunture politiche, quando queste si fanno particolarmente critiche e dense di incognite, almeno per gli equilibri più o meno consolidati a vari livelli.

RISORGE L’ANIMA GIUSTIZIALISTA GRILLINA

Tramortita dai risultati elettorali del 26 maggio, costatagli 15 dei 32 punti percentuali di voti conquistati il 4 marzo dell’anno scorso nel rinnovo ordinario delle Camera, l’anima giustizialista del movimento grillino è risorta con l’annuncio di straordinaria e -ripeto- dannatamente casuale  tempestività dell’arresto di Paolo Arata e del figlio Francesco in Sicilia per riciclaggio, corruzione e non so cos’altro ancora, ma di probabilmente affine alla mafia.

I due sono riferiti o riferibili alla Lega: l’uno come esperto di energia, inchiodato fotograficamente alla partecipazione ad un convegno del Carroccio in materia, e l’altro come socio, non essendo ancora reato il rapporto parentale, di un’azienda eolica condivisa con un detenuto, Vito Nicastri,  sospettato di sostenere la latitanza del capomafia Matteo Messina Denaro.

IL CASO ARATA

Già entrati nelle cronache politiche durante la campagna elettorale per i rapporti con l’allora sottosegretario leghista Armando Siri, rimosso dopo essere risultato indagato di corruzione per avere cercato, sia pure inutilmente, di varare norme che potessero consentire incentivi all’azienda posseduta con Nicastri, i due Arata vi sono tornati adesso più prepotentemente e invasivamente per il loro arresto. Che ha consentito a vignettisti, fotografi, titolisti e quan’altri di confezionare un processo mediatico contro La Lega, e più in particolare Salvini, rappresentato da Vauro, per esempio, sul solito Fatto Quotidiano come un frate orante e benedicente.

L’unico Arata ancora libero, almeno di quelli noti dello stesso nucleo familiare, è il giovane Federico, consulente del Dipartimento Economico, se non ricordo male, della Presidenza del Consiglio, apprezzato pubblicamente sia da Salvini sia dal potente sottosegretario del Carroccio Giancarlo Giorgetti. Di lui vedrete che prima o dopo qualcuno chiederà l’autosospensione, o qualcosa di simile, che potrebbe quanto meno dare al giovanotto la consolazione di paragonarsi a qualcuno dei consiglieri superiori della magistratura che si trovano in questa condizione nel Palazzo dei marescialli.

La situazione di Paolo Arata, già politicamente critica  per i rapporti pur troppo enfatizzati con Salvini in persona, come lo stesso Salvini si è appena lamentato fra un’aggressione e l’altra subita sui terrazzi del Viminale dai gabbiani sfuggiti alla sorveglianza della polizia fluviale, si è aggravata col ricordo dei suoi trascorsi, persino parlamentari, con Forza Italia: quella naturalmente del “pregiudicato” Silvio Berlusconi, come ricorda ogni volta che può Marco Travaglio sul suo giornale. E come ha imparato bene il collaboratore, oltre che animatore e non so cos’altro del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista: Dibba per gli amici e simpatizzanti.

DI BATTISTA GRIDA CONTRO LA LEGA

È proprio del giovane Di Battista, maliziosamente immaginato fuori e dentro casa, diciamo così, come uno che non vede l’ora di subentrare all’amico Luigi Di Maio come capo del movimento grillino, che si sono già levate le grida contro la Lega contaminante, che a Forza Italia “ruba non solo voti ma anche uomini” e presumo pure donne più da galere che da discoteche. Il berlusconismo insomma vive ormai fra di noi, si dispera Dibba dopo un anno e più di forzata convivenza politica, e di governo, col baracconismo di origine arcorese, almeno nella concezione che sembra averne il compagno di partito di Di Maio.

Intanto anche dalle parti del Cavaliere si nutrono verso Salvini, il suo partito e i suoi più stretti o affini alleati, in quel che resta ormai del centrodestra, sentimenti non proprio amichevoli. Il Giornale della famiglia Berlusconi ha appena titolato in prima pagina sulle “trame” elettorali di “Salvini-Toti-Meloni”. E Giuliano Ferrara, in persona, sul suo Foglio ha cercato di spingere il “Truce” leader leghista, coi tempi che corrono, e con i problemi che lo incalzano, tra gli uffici comunitari di Bruxelles e quelli giudiziari di Palermo o affini, verso la rovina di una “dodicesima campagna elettorale”.

Ma prima di questo salto elettorale nel buio, se vi si farà trascinare, Salvini dovrà presentarsi, forse come persona informata dei fatti, diciamo così, davanti a quella specie di tribunale speciale che è diventata la commissione parlamentare antimafia, presieduta ora dal grillino Nicola Morra. Che, in verità, lo convocò già il mese scorso, ai tempi del non ancora deposto sottosegretario Siri, ma adesso sembra che non sia più intenzionato a concedergli pause o rinvii.

 

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