Roberto Vannacci e Luca Zaia non ci saranno al Consiglio federale convocato per oggi nella storica sede di via Bellerio a Milano.
Doveva essere la resa dei conti interna dopo il pessimo risultato delle regionali toscane. Per l’occasione, la segreteria aveva disposto un ritorno alle origini: basta riunioni a Roma, niente videocollegamenti, si torna in presenza e a via Bellerio, nella storica sede milanese della Lega. Segno che la corrente “nordista”, contraria a ogni processo di vannaccizzazione, si sta riprendendo il partito, mentre la stella del Generale viene offuscata dal deludente esito della campagna in Toscana, per la quale il neo-vicesegretario s’era molto speso.
Ma all’appuntamento convocato da Matteo Salvini mancherà sia lui che l’altro protagonista di questa partita, ciascuno portavoce di una diversa visione della Lega del futuro.
ZAIA, IL DOGE MARGINALIZZATO
Da un lato non ci sarà Luca Zaia, il Doge che per quindici anni ha governato il suolo veneto a furor di popolo, per poi vedere l’appoggio dei dirigenti nazionali mancargli quando c’era da giocarsi la partita del quarto mandato. Poi sono arrivate anche le umiliazioni della campagna elettorale, con il veto degli alleati a una lista e a un simbolo col suo nome.
Zaia diserterà il Consiglio federale in programma oggi ufficialmente “per altri impegni”, ma la sua assenza è anche un chiaro segnale politico nei confronti di scelte centrali che hanno marginalizzato il suo ruolo e la classe dirigente locale.
LA FRONDA NORDISTA CONTRO LA “VANNACCIZZAZIONE”
Malgrado da uomo di partito abbia glissato, “accontentandosi” di correre da capolista in tutti i collegi del Veneto, il nome di Zaia coincide ormai con la fronda che spinge per un nuovo modello per il partito.
Sullo sfondo c’è l’ipotesi di una Lega bifronte Nord-Sud, sul modello “tedesco”, ma per adesso il vero tema sono i modi, i toni e il peso di Roberto Vannacci, nel frattempo diventato anche vicesegretario della Lega con una procedura irrituale.
LA CRISI TOSCANA E IL FLOP DI VANNACCI
Il fronte più acceso è certamente quello toscano, dove la Lega è precipitata dal 22% di qualche ciclo elettorale fa a poco più del 4%. Nel pieno della campagna elettorale e dopo la conta dei voti si è assistito a un deflagrare dei rapporti tra le sezioni locali del partito e i Team Vannacci che, forti della provenienza viareggina del Generale, erano convinti di poter guidare la campagna elettorale nella Regione, e invece sono soltanto riusciti a piazzare il braccio destro del Generale, Massimiliano Simoni, e solo perché inserito in un listino bloccato.
Tra i più agguerriti, il gruppo vicino a Susanna Ceccardi, con gli ex consiglieri Massimiliano Baldini e Giovanni Galli che hanno ritirato la propria candidatura in polemica con le scelte di Vannacci, ritenute troppo orientate all’immagine e alla provocazione piuttosto che al radicamento territoriale. Un esempio su tutti è il tonfo del vannacciano Tommaso Villa, imposto capolista a Firenze, e tornato a casa con un pugno di 960 misere preferenze.
C’è poi la questione delle quote delle quote mai versate al partito.
VANNACCI ASSENTE E LE SUE CREATURE PARALLELE
Ma a via Bellerio non ci sarà nemmeno il principale imputato della “Caporetto” toscana. Anche in questo caso c’è una motivazione ufficiale – impegni istituzionali a Strasburgo, dove è previsto il lavoro in plenaria sul tema dell’accordo di pace in Medio Oriente – e una ufficiosa: Vannacci ha l’esigenza di smarcarsi dall’accusa di portare la Lega lontano dai propri elettori e al contempo vuole mantenere viva le sue creature parallele – i cosiddetti “team Vannacci”, Il mondo al contrario, l’associazione Noi con Vannacci – che minacciano di sfaldarsi se il Generale non lascerà la Lega, e che dall’altra parte si vorrebbe irregimentare.
UN PARTITO TRA DUE ANIME
In attesa di capire se quella di oggi sarà solo una resa dei conti mancata o l’inizio di una vera rifondazione, resta l’impressione di un partito sospeso tra due anime — quella identitaria e quella governista — che non riescono più a riconoscersi nello stesso simbolo. E il ritorno a via Bellerio rischia così di somigliare più a un ritorno alle origini dei problemi che a una ripartenza.