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L’emergenza vista dai vignettisti

I graffi di Damato sull’umanità dei vignettisti fra gli sciacalli dell’emergenza da epidemia Covid-19

Ah, in questi tempi cupi di coronavirus – pur con le “curve calanti” che consolano scienziati veri o presunti fra un salotto televisivo e l’altro parlando della Lombardia – ad averne nelle redazioni dei giornali e dintorni di amici carissimi e validissimi come Massimo Bucchi. Che ha saputo descrivere ai lettori di Repubblica come meglio non si poteva “l’Europsia” con quei due polmoni –chiamiamoli del Nord e del Sud, dei falchi e delle colombe, dei virtuosi del Baltico e dei meridionali straccioni – minacciati entrambi dal contagio ma uno dei quali soltanto meritevole di soccorso e prevenzione.

Ad averne di vignettisti storici e ormai in pensione con i loro quasi 90 anni di età, confinati dall’emergenza in un ballatoio come Giorgio Forattini. Che in una telefonata strappatagli dal Tempo di carta rimpiange gli anni di intensa attività perché talmente deluso da quanti ci governano, o fanno solo opposizione, non li considera meritevoli della sua sarcastica e inventiva attenzione. Da solo, una volta egli era capace di mettere in crisi di identità, oltre che alla berlina, un potentissimo come Enrico Berlinguer in vestaglia da camera, che si accorse di essere fuori posto nella maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale sentendo provenire dalla strada le grida di un corteo di metalmeccanici in sciopero.

Bucchi, per tornare a lui, di quasi dieci anni meno anziano o più giovane, come preferite, del Forattini che di fronte alla vittoria referendaria del divorzio, nel 1974, trasformò l’allora segretario della Dc Amintore Fanfani in un tappo saltato dalla bottiglia di champagne di Marco Pannella; Bucchi, dicevo, ci aveva già regalato in questi tempi di coronavirus l’epica trasformazione di una mascherina nella bandiera dei soldati all’assalto del nemico su una collina di morti o moribondi. Erano i giorni in cui la scomparsa delle mascherine dalle farmacie, dagli ospedali, dagli ambulatori e quant’altro non aveva ancora preso la dimensione di massa, diciamo così, che in un altro momento avrebbe già fatto saltare la mosca al naso nelle Procure della Repubblica, con relativi seguiti di avvisi di garanzia, arresti e processi sommari di piazza. I tempi cambiano evidentemente, e pure le abitudini, sia pure per fortuna, verrebbe da aggiungere pensando agli abusi dei riti sommari e delle cacce alle streghe di una ventina d’anni fa, o poco più. Allora le “mani pulite” non venivano reclamate per liberarsi del mostricciatolo virale che vi era approdato.

Anche in questo scenario surreale di paure e rimpianti Marco Travaglio sul suo Fatto Quotidiano riesce a mettersi in testa la sua corona, per restare all’immagine attuale dell’epidemia. Lo ha fatto spendendosi in un editoriale a favore del governo Conte contro “la benzina” e “il fuoco” di critici e avversari, peraltro incuranti del 71 per cento di gradimento recentemente assegnato al presidente del Consiglio dai sondaggi dell’istituto Demos, o del più modesto ma sempre rilevante 56 per cento di Ipsos. Che ha messo in concorrenza per la maglia nera della classifica il reggente pentastellato Vito Crimi, al 21 per cento, e il loquacissimo Matteo Renzi, al 13 per cento, pur sempre tre volte più dei voti potenziali del suo nuovo movimento.

Per darvi un’idea di quanto Travaglio s’intenda di benzina e di fuoco, ricordo che risale solo a qualche giorno fa un suo poco edificante editoriale contro l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, sfottuto come Bertolesi per i suoi acciacchi, e per il letto dove è finito mentre lavorava da consulente del governatore leghista della Lombardia per allestire un ospedale di emergenza antivirale.

 

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