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Letta si smarca da Conte?

Letta

I Graffi di Damato. Enrico Letta sbotta contro Conte e reclama un chiarimento nei rapporti con Draghi

Tra gli effetti collaterali della svolta imposta dal presidente del Consiglio alla riforma del processo penale con le modifiche varate dal governo alla legge all’esame della Camera il più importante non è l’accresciuto e scontato marasma fra i grillini ma la dura reazione del segretario del Pd Enrico Letta alla posizione critica assunta dall’uomo su cui egli aveva maggiormente puntato nei rapporti col MoVimento 5 Stelle. Alludo naturalmente a Giuseppe Conte, il “maggiore punto di riferimento” dell’area progressista indicato a suo tempo dal predecessore di Letta al Nazareno.

In una sequenza di tempi che parla da sola, e di cui sarebbe offensivo per l’intelligenza sostenere la casualità, alla insoddisfazione espressa pubblicamente da Conte, per quanto non partecipe delle trattative o simili svoltesi a Palazzo Chigi, Letta ha opposto una sostanziale e forte richiesta di chiarimento politico. Il segretario del Pd non poteva certo riferirsi, come al solito, solo o prevalentemente ai due Mattei da cui spesso sembra ossessionato, cioè Salvini e Renzi, entrambi partecipi della maggioranza di emergenza formatasi attorno all’esecutivo in carica, quando ha detto a un convegno di giovani imprenditori, a Genova, che bisogna precisare “cosa vogliamo fare in Italia del governo Draghi”.

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La posizione del Pd – ha affermato Letta -è che Draghi debba restare a Palazzo Chigi, ed essere sostenuto con convinzione, “per tutta la legislatura, fino alle elezioni del marzo 2023, perché l’Italia un’occasione così non l’ha mai avuta”. Cioè, non ha mai avuto un governo con tanto credito all’estero e tanto da fare per non perdere i finanziamenti europei al piano della ripresa, condizionati proprio alla realizzazione delle riforme, compresa quella della giustizia. Naturalmente mantenere Draghi a Palazzo Chigi sino alla fine della legislatura significa non iscriverlo né d’ufficio né d’altro alla corsa al Quirinale in vista della scadenza, fra poco più di sei mesi, del mandato di Sergio Mattarella. E neppure questa è precisazione occasionale da parte del segretario del Pd, comprensibilmente refrattario a un ruolo di semplice spettatore di quella corsa.

Dire “io sostengo Draghi fino alla fine della legislatura” – ha affermato Enrico Letta – non è come dire “io lo sostengo ma prima finisce e meglio è”. Che invece è la logica desumibile dalle distanze che Conte prende continuamente dalle decisioni e scelte di Draghi, comprese quelle per la modifica della prescrizione voluta dal precedente ministro pentastellato della Giustizia, Alfonso Bonafede. Al quale peraltro Conte deve l’ingresso nel mondo grillino prima come possibile ministro della pubblica amministrazione, in un governo monocolore pentastellato, e poi la promozione a presidente del Consiglio di governi di obbligata e cangevole coalizione. Di quella prescrizione non si dirà mai male abbastanza per la figura dell’imputato a vita prodotta dall’eliminazione di ogni scadenza temporale per i processi che dovessero durare oltre la sentenza di primo grado.

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E’ un tipo di prescrizione, quella di Bonafede, che Grillo ha peraltro rischiato di sperimentare nella vicenda giudiziaria del figlio Ciro per stupro rinfacciatagli adesso nello stesso Movimento 5 Stelle da militanti che lo hanno accusato di essere addirittura “ricattato”. Si spiegherebbe così l’aiuto che il “garante” avrebbe fornito a Draghi nel varo delle modifiche al processo penale. Con una certa perfidia Il Fatto Quotidiano vi ha dedicato uno dei titoli di giornata. Un altro è su Grillo “palo di Draghi”.

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