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L’Italia di Mattarella e l’Italia del Censis

I Graffi di Damato

Declassata -giustamente- a notizia minore la fiducia della Camera al governo sul bilancio del 2019, destinato a tornare a Montecitorio con le modifiche che lo stesso governo sta faticosamente elaborando nel tentativo di scansare la costosa procedura europea d’infrazione, i giornali hanno diviso l’attenzione delle loro prime pagine fra la lunga ovazione a Sergio Mattarella, presente all’inaugurazione della nuova stagione operistica al teatro milanese della Scala, e il ritratto impietoso che ha fatto dell’Italia l’ormai storico Censis di Giuseppe De Rita.

IN CONTRASTO

Le due cose -l’ovazione al presidente della Repubblica e l’Italia “incattivita” rappresentata dal Censis- sono fra loro in contrasto. Eppure convivono nella realtà del Paese, anche se a prima vista si potrebbe essere tentati di ridurre la portata dell’ovazione a Mattarella perché tributata da un campione assai elitario della società, accorso in ghingheri alla rappresentazione dell’Attila di Giuseppe Verdi. Un campione, cioè, di autorità di vario livello, poteri cosiddetti forti e borghesi molto ben messi. Che con una coincidenza significativa nel suo blog personale Beppe Grillo ha identificato nei sostenitori di tutte le grandi opere contestate dal suo movimento politico, a cominciare dalla Tav. E ha quindi bollato severamente come “una realtà fisica enorme, costosa e inquinante”.

In soccorso, diciamo così, di Mattarella e dell’ovazione dei borghesi descritti così male da Grillo interviene la cronaca da Milano del quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda. Dove si racconta degli applausi popolari che il presidente della Repubblica aveva già ricevuto fuori dal teatro, arrivandovi: applausi di gente comune.

PAESE LEGALE VS PAESE REALE

Eppure il contrasto fra le due rappresentazioni -l’Italia incattivita di De Rita e il capo dello Stato applaudito fuori e dentro il teatro La Scala- rimane. E’ come se si contrapponessero il Paese reale e quello legale: una contrapposizione non nuova, in verità, da quando la politica ha cominciato a perdere colpi, molti anni fa, e si è cominciato a sondare le ragioni per le quali il Parlamento, per esempio, già quello dei partiti forti e consolidati, com’erano la Dc, il Pci e il Psi, sembrava distinto e distante dagli elettori che pure lo eleggevano.

Quel già vecchio contrasto, ora che non a caso di partiti forti e consolidati non c’è più traccia, o quasi, sembra aggravato e persino esploso. La chiave di lettura di questa realtà inquietante sta probabilmente nell’intuizione sociologica che ha portato De Rita ad avvertire e indicare, nel suo cinquantaduesimo rapporto sull’Italia, un “sovranismo psichico”. Che “si è installato nella testa e nel comportamento degli italiani”, e non solo in quella di Matteo Salvini e dei suoi crescenti elettori leghisti.

ANARCHIA CELATA?

Il sovranismo intuito e descritto dal sociologo De Rita altro non è, se ci riflettiamo un po’ sopra, che l’anarchia. E in effetti con le sue pulsioni egoistiche, con la sua concezione alterna della legalità, e persino dell’onestà, che pure i grillini hanno adottato come slogan, salvo disattenderla pure loro quando capita l’occasione, l’Italia è più vicina all’anarchia che all’ordine, o alla sicurezza.

Su questo stato di cose, aggravato da una nuova recessione incipiente, dovrebbe riflettere anche Salvini, che pure si considera il leader più attrezzato e quotato sui versanti proprio dell’ordine e della sicurezza, come gli riconoscono pure i grillini. Che al governo lasciano in questo campo al leader leghista l’ultima parola, anche a costo di perdere voti e di avvitarsi in crisi interne al loro movimento.

Un’Italia incattivita e anarchica alla fine rifiuterà pure Salvini, nella logica della famosa favola dello scorpione che, non potendo resistere al suo istinto, punge la rana che lo trasporta nell’attraversamento dell’acqua e affoga con lei.

 

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