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Matera 2019, ma il Sud di cosa ha davvero bisogno?

Ieri si è celebrata l’inaugurazione di Matera capitale europea della cultura 2019. Con l’occasione riproponiamo la prefazione del professore Pellegrino Capaldo al libro “Stelle del Sud – Le eccellenze del Mezzogiorno e le nuove rotte per far ripartire l’Italia” 

“Questo è un giorno importante per Matera, per l’Italia. Per l’Europa, che dimostra di saper riconoscere e valorizzare le sue culture. Giorno di orgoglio per l’Italia che vede una delle sue eccellenze all’attenzione dell’intero Continente”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia di inaugurazione per Matera 2019 capitale europea della cultura, svoltasi ieri nel capoluogo lucano.

A proposito di eccellenze d’Italia – e del Sud in particolare – riproponiamo la prefazione del professore Pellegrino Capaldo al libro Stelle del Sud – Le eccellenze del Mezzogiorno e le nuove rotte per far ripartire l’Italia edito da Rubbettino. Lo riproponiamo per offrire una riflessione sul Meridione d’Italia oltre la retorica che ha caratterizzato Matera 2019.

MEZZOGIORNO COME IL RESTO D’ITALIA

Il Sud non ha più bisogno di una specifica politica economica, né – come si diceva una volta – di interventi addizionali. Con le sue luci e le sue ombre, il nostro Mezzogiorno può essere trattato ormai alla stregua di tutto il resto del Paese anch’esso – a sua volta – pieno di luci e ombre. Un Paese complesso e «compresso», con grandi potenzialità ma anche con grandi difficoltà a esprimerle. Un Paese che sta perdendo tempo prezioso e che rischia di fare vistosi passi indietro. Non dimentichiamo che, per livello di reddito pro capite, noi siamo nel primo 10- 12% della scala mondiale. Dietro di noi c’è l’88-90% dell’umanità. Con i tanti Paesi che c’incalzano, sarà ben difficile mantenere quelle posizioni. Anzi è realistico prevedere che se non usciamo dall’inerzia, se continuiamo a procedere come stiamo procedendo, scivoleremo sempre più in basso in quella scala. Oggi non abbiamo più un problema-mezzogiorno; abbiamo piuttosto un problema-Italia che, nella sua complessità, ingloba anche la piccola questione meridionale. Ed è vano pensare che il Sud possa fare apprezzabili passi avanti se non si risolvono alla radice i problemi dell’intero Paese.

NECESSITÀ DI UN PROGETTO PAESE

Per l’Italia, e dunque anche per il Sud, dobbiamo immaginare un grande progetto Paese, che sia anche l’occasione per risvegliare in tutti noi il senso di appartenenza. Perché un progetto Paese? Per l’ovvia ragione che la globalizzazione in atto porta inevitabilmente a una divisione dei compiti e delle produzioni tra i vari Paesi. La specializzazione, la divisione del lavoro e l’intensificazione degli scambi internazionali sono l’altra faccia della globalizzazione. Ciascun Paese si dovrà concentrare su quelle attività produttive per le quali ritiene di avere un vantaggio competitivo e abbandonare le altre. Ecco la necessità, per noi, di interrogarci su quello che possiamo fare meglio degli altri, con vantaggi in termini di costo e di qualità. Ed ecco anche la necessità di porre – attraverso appropriati interventi di politica economica – le condizioni per farlo sempre più efficacemente. Sia chiaro, non è un tentativo di ritorno ai metodi della programmazione economica degli anni ’60; metodi giustamente abbandonati presto perché basati su un’impostazione fortemente statocentrica. È piuttosto un tentativo di dare alle forze produttive del Paese obiettivi largamente condivisi, definiti sulla base di una conoscenza profonda delle nostre attitudini, delle nostre specificità, dei nostri punti di forza. In questo quadro, come si diceva, può trovare largo spazio il Mezzogiorno, ora puntando sulle sue peculiarità (si pensi, per esemplificare, alla mitezza del clima e all’importanza di tale fattore per un’agriindustria di alta qualità), ora chiamandolo a far sistema con l’intero Paese (si pensi, ancora solo per esemplificare, al turismo culturale, enogastronomico, ecc.).

FEDERALISMO FISCALE PER UN SUD EFFICIENTE

Un discorso sul Mezzogiorno non può ignorare, poi, il dibattito in atto sul federalismo fiscale. E l’autore, opportunamente, non l’ignora. Il federalismo fiscale non può essere visto in chiave punitiva (per il Sud) o in chiave risarcitoria (per il Nord). È una visione sbagliata perché rischia di aprire un dibattito senza fine e senza sbocchi, tanto più che non è facile dimostrare, come alcuni credono, che l’attuale meccanismo di ripartizione delle risorse sia premiante per il Sud e penalizzante per il Nord. Ma non è questo il punto. Il federalismo va visto come mezzo per avvicinare alle istituzioni tutti i cittadini, per accrescere la loro libertà di scelta e per stimolare la loro capacità d’iniziativa; come mezzo per accrescere l’efficienza della spesa pubblica ed eliminare sprechi che, soprattutto al Sud, sono innegabili e, a volte, assai vistosi. La questione, dunque, non è federalismo sì o federalismo no. È piuttosto come introdurlo: con quali modalità, con quali tempi, con quale grado di solidarietà e così via. Come si vede il discorso sul federalismo ci riporta al progetto Paese e allo spazio che in tale progetto dovrà trovare – accanto alle tematiche dello sviluppo economico – il ripensamento degli assetti istituzionali, a cominciare dai livelli di governo che, allo stato, sembrano davvero eccessivi.

Come tutte le grandi riforme strutturali, il federalismo fiscale dev’essere necessariamente inquadrato nel complessivo assetto istituzionale del nostro Paese. Se lo riduciamo a mero fatto amministrativo-contabile, avremo un’altra «riforma mancata» che andrà ad aggiungersi alle tante che abbiamo tentato negli ultimi 30-40 anni. Il federalismo fiscale può rivelarsi assai utile anche per il nostro Mezzogiorno purché applicato nei termini sopra indicati e, soprattutto, con la necessaria gradualità. Sarebbe un grave errore pensare di bruciare le tappe e pretendere di realizzare in qualche anno ciò che, probabilmente, richiede lo spazio di una generazione. Si può, naturalmente, definire in tempi brevi l’architettura istituzionale del federalismo; si può, naturalmente, far sì che sia impossibile tornare indietro sulle decisioni assunte in materia di federalismo fiscale; ma – si ripete – se non si vuol fare opera vana, bisogna dilazionare con realismo i tempi di attuazione della riforma.

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