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Ecco cosa pensa Conte sulla rielezione di Mattarella

Mattarella Semestre Bianco

I graffi di Francesco D’Amato sull’apertura del Premier Giuseppe Conte alla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica

A pensarci bene, vista anche la dose ormai abituale di tossicità del dibattito politico, densissimo di attacchi diretti e di allusioni, è sorprendente che -salvo due casi, che vedremo- sia passata inosservata, quasi come una banalità, l’apertura esplicita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’ipotesi di una rielezione di Sergio Mattarella fra quasi due anni e mezzo, quando scadrà il suo mandato di presidente della Repubblica. “Se fosse disponibile, gli riconosco tutte le qualità”, ha detto Conte apprezzandone, in particolare, la “saggezza, l’equilibrio e la semplicità”. E’ “anche alla mano”, ha assicurato il capo del governo con l’esperienza maturata in più di un anno e mezzo di frequentazione diretta. Anche dal Colle è giunto un silenzio totale, almeno in pubblico, non so se più compiaciuto o imbarazzato, che tuttavia ha probabilmente aiutato il quirinalista della Stampa Ugo Magri a ritenere che dietro “la sviolinatura” del presidente del Consiglio “nulla induce a sospettare un piano di rielezione” di Mattarella.

Assai meno prudentemente ha invece intravisto un piano del genere Carlo Cambi sulla Verità di Maurizio Belpietro, inserendo nelle “manovre per il Quirinale” l’ ipotesi di un Mattarella dimissionario se il governo la dovesse vacillare, in modo da farsi rieleggere da questo Parlamento prima di vedersi costretto da una crisi a scioglierlo. Ma francamente viene fuori da una simile congettura un Mattarella troppo cinico o spregiudicato, almeno per i miei gusti e per l’idea che ho maturato di lui.

A Conte non è passato evidentemente neppure per la testa il sospetto o, peggio, la paura di introdurre nell’agenda politica una scadenza istituzionale non così vicina ma pur sempre importante, aprendo di fatto -si sarebbe detto in altri tempi- con largo anticipo quella che si è sempre chiamata “la corsa al Quirinale”.

Tanto meno il presidente del Consiglio è stato trattenuto, parlando di questo argomento in una intervista come di un inciso, dal fatto che durante la crisi agostana di governo fra le ragioni pubblicamente addotte contro le elezioni anticipate reclamate dal leader leghista fosse stata invocata la necessità di impedire che ad eleggere il successore di Mattarella fosse un Parlamento a larga maggioranza di centrodestra, come sembrava scontato che avvenisse se si fossero sciolte, appunto, le Camere attuali. “Salvini ha in mente di liberarsi di Berlusconi mandandolo addirittura al Quirinale”, si mormorò nei palazzi romani del potere, o dell’intrigo, tanto cari ad una certa letteratura alla quale si sono formati i grillini prima di entrarvi pure loro.

Non solo si era invocata la necessità di prevenire una simile evenienza, ma nella frenesia qualche volta persino scomposta delle trattative dei pentastellati col Pd ancora comprensivo di Matteo Renzi e, più in generale, con la sinistra, vista la partecipazione dei “liberi e uguali” di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, aveva fatto capolino fra gli oppositori il sospetto, poco riguardoso verso il presidente della Repubblica, che gli artefici della nuova maggioranza avessero cercato di guadagnarsi l’appoggio del capo dello Stato proponendogli o adombrandogli la rielezione.

Quando Romano Prodi intervenne nel dibattito mediatico sposando la causa della maggioranza giallorossa, sino a proporne il nome italianizzato -Orsola- della presidente della Commissione dell’Unione Ursula von der Leyen, appena eletta dal Parlamento Europea con un analogo schieramento, allargato in verità a Silvio Berlusconi nell’assemblea di Strasburgo, ci fu subito chi ne interpretò la sortita come ritorno in campo proprio per il Quirinale. Dove il professore emiliano sarebbe stato sicuramente eletto nel 2013, alla scadenza del primo mandato presidenziale di Giorgio Napolitano, se Stefano Rodotà si fosse lasciato convincere da Beppe Grillo a rinunciare alla propria candidatura. Ma Rodotà, che i grillini avevano preso l’abitudine di applaudire nelle piazze ritmando le finali del suo nome, non volle neppure sentirne parlare. E lo stallo portò alla rielezione del presidente uscente.

Di tutto questo nessuno si è ricordato o ha voluto ricordare, né sopra nè sotto né tra le righe, nel momento in cui il presidente del Consiglio a sorpresa ha parlato in questo autunno appena iniziato della non imminente e neppure vicina -ripeto- scadenza istituzionale del 2022. Segno di distrazione dell’opposizione, particolarmente di quella leghista, vista la scarsa popolarità di Mattarella fra i militanti del Carroccio, come si è visto di recente sui prati di Pontida ? Segno di imbarazzo tra le file della maggioranza giallorossa, magari nella consapevolezza di più ambizioni da conciliare, maturate o maturande? O, infine, a parte la fantasia della Verità di Belpietro, è segno di svolta signorile, diciamo così, nel dibattito o confronto politico, dopo tanto becerume sparso a piene mani da tempo immemorabile, attribuendo ad avversari o semplici concorrenti le peggiori nefandezze, con o senza il soccorso delle cronache giudiziarie? Se fosse vera questa svolta, politica e mediatica, sarebbe molto bello. Ma chi ci crederebbe, onestamente?

Articolo pubblicato su I graffi di Francesco DAmato.

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