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Perché Mattarella (pur volendo) non è corso subito nelle terre alluvionate?

Mattarella

I Graffi di Damato

Chi conosce bene Sergio Mattarella, e ha potuto continuare a frequentarlo anche dopo la sua elezione e conferma al Quirinale, mi assicura che l’istinto del presidente della Repubblica è stato quello di correre subito nell’Emilia Romagna devastata dall’acqua e dal fango, come ogni volta e in ogni parte d’Italia si vivano sciagure. Ma a trattenerlo, e fargli fissare per martedì prossimo il viaggio nelle terre alluvionate, fra le popolazioni così duramente colpite, è stata la delusione procuratagli dalla disinvoltura degli avversari politici del governo di usare la sua corsa a Cutro, nello scorso mese di febbraio, tra le vittime e gli scampati al naufragio di 180 migranti, di cui oltre 90 morti, per contrapporre la sua tempestività alla presunta insensibilità, disumanità ed altro della presidente del Consiglio, trattenuta dalla partenza per impegni internazionali. Non per una gita di piacere.

Vista anche la coincidenza, pure questa volta, fra una sciagura interna e un impegno internazionale della premier, trattenuta dalla partecipazione al G7 prolungatasi oltre la pretesa di certi avversari di un rientro immediato, ancora più veloce di quello deciso e attuato dall’interessata, il Capo dello Stato ha evitato di prestarsi ad un’altra occasione di sciacallaggio politico. Ed ha voluto recarsi sul posto dopo non solo la presidente del Consiglio, ma anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

Quando la lotta politica scende a livelli tali da porre al presidente della Repubblica, alla sua agenda, ai suoi stessi sentimenti di solidarietà e di protezione della comunità che rappresenta al più alto dei livelli e delle garanzie costituzionali, c’è davvero da preoccuparsi. Ben più di quanto quotidianamente non accada con processi alle intenzioni del governo, a dir poco, sulla strada dell’eterno e presunto pericolo di ritorno del fascismo in Italia.

Nessun invito, avvertimento, monito e quant’altro del presidente della Repubblica in carica si è rivelato così sempre attuale come questo passaggio del primo dei due messaggi di insediamento da lui letti davanti al Parlamento, precisamente dopo il giuramento di martedì 3 febbraio 2015: “Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del Capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, di garante della Costituzione. E’ un’immagine efficace: all’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere e sarà imparziale”. E dopo che si erano levati “generali applausi” registrati nel resoconto della seduta e “i parlamentari levati in piedi”, sempre da resoconto, il presidente Mattarella aggiunse con preveggenza, procurandosi altri applausi non so francamente quanto sinceri, o quanto poi traditi o semplicemente disattesi: “I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”. Sono trascorsi più di otto anni da quel giorno.

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