Il referendum sul taglio dei parlamentari prometteva un risparmio di mezzo miliardo da reinvestire nella spesa pubblica. I conti della Camera mostrano invece un quadro diverso: spese complessive stabili e altri capitoli di bilancio in aumento.
LA PROMESSA MANCATA DEL 2020: RIDURRE LA SPESA POLITICA
A cinque anni dal referendum costituzionale che ha ridotto di 345 unità il numero dei parlamentari italiani – da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori – i bilanci interni di Camera e Senato svelano più contraddizioni che risparmi. Correva l’anno 2020 e il Movimento 5 Stelle presentava il taglio come una svolta epocale, un colpo duro alla “Casta mangiona”, sbandierando un risparmio di mezzo miliardo a legislatura. Una cifra però più politica che reale. Le analisi dell’Osservatorio dei Conti Pubblici riprese da la Repubblica, ridimensionavano l’entusiasmo: il risparmio netto stimato si aggirava intorno ai 57 milioni annui, pari a circa 285 milioni per legislatura, molto meno dei proclami iniziali.
I sostenitori del “Sì” immaginavano già di reinvestire questo tesoretto in progetti nobili. Rimangono scolpite su Facebook le dichiarazioni di Luigi Di Maio, allora capo politico del Movimento 5 Stelle, che elencava le innumerevoli possibilità aperte da quel mezzo miliardo risparmiato in dieci anni: «133 nuove scuole o 67.000 aule per i nostri bambini; 13.000 ambulanze; 11.000 medici o 25.000 infermieri; 133 nuovi treni per i pendolari».
IL BILANCIO POST-REFERENDUM: IL COSTO DELLA POLITICA È LO STESSO, CAMBIA SOLO L’ORDINE DEGLI ADDENDI
Come ha osservato Carlo Tecce nell’inchiesta Il taglio dei parlamentari è stato inutile: pochi risparmi e zero risultati edita da L’Espresso (8 ottobre 2024), a due anni dall’entrata in vigore della riforma né i conti pubblici né la democrazia hanno beneficiato: “Non ci sono risparmi clamorosi, invero vanno rintracciati con il microscopio. Non si percepisce una ritrovata vitalità dei parlamentari (…) Tutto è rimasto identico a sé stesso. E lo dimostrano i bilanci interni alle Camere. E lo esplicitano le statistiche di Openpolis. Un momento. Qualcosa è cambiato. Si è acuita la distanza fra elettori ed eletti.”
Dai registri di spesa della Camera emerge che la voce “Deputati” è passata da 143,6 milioni del 2021 a circa 89 milioni nel 2023–2024, in linea con le stime post referendum realizzate dall’Osservatorio dei Conti Pubblici. Eppure, il taglio non si è tradotto in un calo delle spese complessive di Camera e Senato che sono invece rimaste stabili attorno a 1,23–1,27 miliardi l’anno.
LE VOCI IN AUMENTO: IN POLE LA RISTORAZIONE
Il taglio delle poltrone è stato rapidamente riassorbito da altre voci di bilancio: ristorazione, personale, commissioni e trasporti. Secondo Il Messaggero, proprio la ristorazione sarebbe uno dei tasti più dolenti: la spesa, pari a 2,36 milioni nel 2022, è salita a 3,06 milioni nel 2023, con un aumento del 29% in un solo anno. Un dato che sorprende ancora di più perché, dal 2023, il servizio è stato affidato a una società interna, la Cd Servizi, che avrebbe dovuto garantire risparmi stimati in un milione e mezzo l’anno. Al contrario, i costi sono aumentati e, se pure il risparmio c’è stato sul fronte delle indennità parlamentari, è stato neutralizzato dalla crescita di altre voci strutturali. Insomma, il costo complessivo della politica resta immutato. Per il colpo di scure contro la “Casta” – qualunque essa sia – sembra ci sarà ancora da attendere.