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Movimenti a 5 stelle fra Travaglio e Conte

Conte 5 Stelle Draghi

I Graffi di Damato sui debiti di Conte sulla strada finalmente spianata di capo delle 5 Stelle

Ora che il divorzio fra il Movimento 5 Stelle e Davide Casaleggio sembra finalmente e veramente consumato col passaggio dell’elenco degli iscritti e col debito “onorato”, secondo l’annuncio di Giuseppe Conte, nella misura per lui obiettivamente conveniente della metà, da circa 500 mila e 250 mila euro riconosciuti all’Associazione Rousseau, c’è da vedere se e in quale misura l’ex presidente del Consiglio in attesa della corona destinatagli da Beppe Grillo vorrà o riuscirà pagare il debito politico. Che è quello non tanto di sostenere il suo successore a Palazzo Chigi, come sembrava essere nelle aspettative di Grillo, quanto di “correggere la rotta del governo”, almeno secondo le aspettative, le indicazioni, le interpretazioni e quant’altro di quell’impegnato sostenitore come Marco Travaglio.

Non sembra tuttavia che il direttore del Fatto Quotidiano sia molto sereno: non più di quanto intendesse dire Matteo Renzi nel 2014 all’allora presidente del Consiglio Enrico Letta mentre si accingeva ad allontanarlo da Palazzo Chigi. “Non sappiamo- ha prudentemente scritto Travaglio, particolarmente letto sotto le 5 Stelle ma non sempre o quasi mai ascoltato, si è doluto qualche sera fa in un collegamento televisivo con Lilli Gruber– se Conte, che da neofita ha offerto buone prove come premier, sarà all’altezza anche alla guida del M5S”, perché “come leader politico è ancora tutto da scoprire”. E se non si dimostrasse all’altezza sarebbero guai per ciò che resta o resterà del movimento, dato che “all’orizzonte non si vede nessuno che possa riuscirci meglio di lui”. ha scritto ancora il direttore del Fatto Quotidiano.

Nella missione affidatagli di “correggere -ripeto- la rotta” di un governo condizionato dagli odiati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, ora per giunta impegnati a federarsi per contare ancora di più nella maggioranza, e non solo per difendersi all’interno del centrodestra dalla scalata alla leadership della giovane Giorgia Meloni, il povero Conte rischia di perdere la sponda del segretario del Pd Enrico Letta. Il cui antisalvinismo sembra essersi un po’ ridotto nella sostanza, al di là dell’intransigenza verbale. Nel Pd vanno infatti crescendo dubbi e preoccupazioni sul nuovo segretario, specie da quando le iniziative referendarie di Salvini con i radicali sui temi della giustizia hanno indotto anche uno come Goffredo Bettini a raccomandare di non mettersi troppo di traverso sulla strada del contenimento della confusione ed esondazione della magistratura.

La guardasigilli Marta Cartabia, peraltro, difficilmente ridurrà l’impegno riformatore scambiando i referendum per atti ostili, come vorrebbero molti sotto le cinque stelle, dove hanno cominciato un pò a lusingarla mostrando attenzione ad una sua possibile candidatura al Quirinale per la successione a Sergio Mattarella, in febbraio. All’ex presidente della Corte Costituzionale non manca certo l’ambizione, anche di essere la prima donna a salire così in alto, ma neppure la coerenza, né il senso del realismo in una situazione fluida come questa, in cui al presidente uscente della Repubblica tutti alla fine potrebbero chiedere il sacrificio di ritardare il riposo di un anno per consentire alle nuove Camere di eleggere nel 2023 un successore più legittimato.

 

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