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Nella riforma alla Giustizia Conte è accusatore o alla sbarra?

Conte 5 Stelle Draghi

I Graffi di Damato. Più che sul processo penale, si tratta ormai sulla sorte pentastellare di Conte

Sono quanto meno incerte le notizie sulle trattative nella maggioranza per la riforma del processo penale: processo a rischio di ghigliottina -secondo la rappresentazione della vignetta di Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera- se in appello non si arriva a sentenza dai due ai tre anni, secondo i reati, e in Cassazione dai 12 ai 18 mesi. Così prevedono le modifiche messe a punto dal Consiglio dei Ministri una ventina di giorni fa e contestate dai grillini, per quanto i loro ministri le avessero approvate concorrendo ad un voto unanime.

Secondo le informazioni di alcuni giornali, fra i quali Il Dubbio, si sarebbe arrivati ad un accordo dietro le quinte della Commissione Giustizia della Camera, dove il provvedimento è rimasto per un’altra settimana dopo il rinvio dell’approdo nell’aula di Montecitorio originariamente fissato per il 23 luglio. L’intesa consisterebbe nel mettere al riparo dalla ghigliottina, che sarebbe la “improcedibilità” coniata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, tutti i reati in qualche modo configurabili come terrorismo e mafia, compresi quelli di cosiddetto e controverso concorso esterno in associazione mafiosa o quelli comuni per i quali l’accusa chiede però l’aggravante mafiosa. Ciò avvenne a Roma, si ricorderà, per la cosiddetta “Mafia capitale”. Che fu negata poi dai giudici nelle sentenze, limitate alla criminalità comune.

Secondo altri giornali -anche per effetto delle modifiche di carattere in qualche modo ritorsivo annunciate dalle componenti di centrodestra della maggioranza su più versanti, come quello dell’abuso d’ufficio contestato ai sindaci con tale frequenza, e arbitrarietà, da paralizzare le amministrazioni locali- si sarebbe ancora nel “pantano”, come ha titolato la Repubblica, o appesi “a un filo”, secondo Il Mattino. Altri giornali per non sbagliare hanno escluso l’argomento delle prime pagine. Di scrupoli non se n’è posti invece il Consiglio Superiore della Magistratura, dove la sesta commissione ha in tutta fretta aggiornato il suo parere estendendolo dalla improcedibilità a tutto il provvedimento per farne discutere nel plenum già domani. Sarà un esame non si sa se più in concorrenza o in coincidenza con la Commissione Giustizia della Camera, senza quindi potere materialmente conoscere il testo destinato all’aula di Montecitorio.

A parte i pur rilevanti aspetti “tecnici”, come vengono spesso con troppa disinvoltura definiti da chi cerca di ridurne l’impatto politico, di tutta la vicenda delle trattative apertesi nella maggioranza sulle modifiche originariamente predisposte all’unanimità dal Consiglio dei Ministri, con tanto di prenotazione della cosiddetta questione di fiducia per blindarne l’esame in aula alla Camera, si è fatto sempre più forte il sospetto che sia diventata centrale una questione estranea al merito della riforma del processo penale. E’ la sorte della leadership allo stato ancora virtuale di Giuseppe Conte nel MoVimento 5 Stelle: una leadership condizionata dalla capacità del professore e avvocato di strappare agli interlocutori Mario Draghi e Marta Cartabia modifiche digeribili della maggioranza dei turbolenti parlamentari grillini.

Più che il futuro del processo penale, sembra insomma in gioco il futuro di Conte nel MoVimento che dovrebbe eleggerlo digitalmente presidente, accano o sotto -si vedrà solo nei fatti- al fondatore, garante e quant’altro Beppe Grillo. Così è se vi pare, direbbe agli scettici la buonanima di Luigi Pirandello.

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