Dopo la tumultuosa giornata sul voto al Parlamento europeo per la risoluzione sul Riarmo Ue, Elly Schlein nel mirino delle critiche. E si parla di congresso straordinario
“Psicodramma Pd”, “Partito democratico spaccato”, “Schlein a un voto dalla sfiducia”, la segretaria “in minoranza”, “si apre di fatto il congresso del partito”. A leggere resoconti e retroscena della convulsa e tesissima giornata in casa del Partito democratico sul voto al Parlamento europeo sul Riarmo Ue e sulla risoluzione pro Kiev, sembra che la segretaria Elly Schlein l’abbia fatta grossa, compromettendo in prospettiva non solo la sua eventuale candidatura a premier ma anche la stessa poltrona di segretaria nazionale. Giornali come il Fatto quotidiano e il Domani parlano di “resa dei conti interna”, con “lo scontro” che “ora si sposta al Nazareno”.
CHI HA VOTATO A FAVORE E CHI SI E’ ASTENUTO SULLA RISOLUZIONE REARM EU
Mezzo gruppo all’Eurocamera ha votato in maniera difforme dalle indicazioni di Schlein. Hanno detto sì alla risoluzione sul Rearm Eu di Ursula von der Leyen: Bonaccini, Decaro, Giorgio Gori, Gualmini, Lupo, Maran, Moretti, Picierno, Tinagli, Topo. Si sono astenuti invece Zingaretti, Corrado, Zan, Benifei, Nardella, Ricci, Ruotolo, Laureti, Strada, Tarquinio e Lucia Annunziata che ha corretto in astensione un voto per errore risultato a favore.
LE POSIZIONI DI NARDELLA, TARQUINIO E GORI SULLE INDICAZIONI DELLA SEGRETARIA SCHLEIN
Tra i voti più controversi, quello dell’ex sindaco di Firenze Dario Nardella. Il suo voto è stato decisivo. Se anziché astenersi, come chiesto da Elly Schlein, si fosse unito al sì della pattuglia riformista (cui pure appartiene), la segretaria del Pd sarebbe finita in minoranza. E invece, grazie a lui, lei può tirare un sospiro di sollievo. “L’ho fatto per due motivi – spiega a Repubblica – Per disciplina di partito e per scongiurare una spaccatura dalle ricadute imprevedibili”.
Aggiunge sul Corriere della Sera Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire e ora eurodeputato indipendente nella delegazione del Pd: “Mi sono astenuto, dopo aver votato tutti gli emendamenti che puntavano a migliorare il testo di una risoluzione non vincolante sulla difesa comune europea, per sostenere Schlein. Anche grazie alla mia scelta nessuno può dire che il Pd sta dalla parte di chi vuole armare i singoli Stati”.
Non risparmia critiche un altro peso massimo tra gli eurodeputati del Pd, Giorgio Gori, il quale sul Foglio afferma: “Non era un voto come un altro. Nonostante gli sforzi per tenerla unita, metà della nostra delegazione ha scelto di astenersi sul piano di difesa, isolandosi dal resto del gruppo socialista. Non riesco a non vederlo come un errore”.
LE ANALISI E I COMMENTI DI FOLLI E SORGI: “IL CONGRESSO E’ COMINCIATO”
Interessante, a questo punto, le analisi dei principali editorialisti e commentatori della carta stampata. Scrive Stefano Folli su Repubblica: “A mezza bocca qualcuno nel Pd mormora: «Il congresso è cominciato». Intende dire che il tema della difesa europea (o del “riarmo”, come si ripete con espressione brutale nella sua franchezza) ha aperto il confronto interno, destinato a concludersi non prima che sia fatta chiarezza sulla linea politica in cui si riconosce Elly Schlein, che non è quella del gruppo dei socialisti europei. Il voto sul piano Von der Leyen ha visto il Pd dividersi tra astenuti e voti favorevoli su di una questione — la politica estera e di sicurezza — fondamentale per definire l’identità della maggiore forza d’opposizione. Fino a poco prima c’erano anche due voti contrari, quelli di Marco Tarquinio e Cecilia Strada, che all’ultimo si sono trasformati in astensione, evitando ulteriori lacerazioni”.
Altra analisi molto asciutta di Marcello Sorgi su La Stampa: “Quanto al Pd, lo psicodramma che durava da giorni alla fine s’è concluso con 11 astenuti e 10 a favore di VdL. Ma attenzione tra gli astenuti, cioè tra i sostenitori della posizione della se (che all’inizio avrebbe perfino voluto votare “no”), vanno conteggiati i due voti dei pacifisti dichiarati Tarquinio e Strada, convinti in extremis a spostarsi dal “no” all’astensione. E dell’eurodeputata indipendente Annunziata, che ha sostenuto di aver votato `sì” per sbaglio e ha chiesto il cambio di voto nei verbali della seduta. In altre parole, senza questi espedienti, la partita interna si sarebbe chiusa almeno 11 a 10 per il “sì” e la Schlein sarebbe andata in minoranza, perdendoci la faccia. Intanto, dalla pancia del partito, si moltiplicano le adesioni al la proposta dell’ex-capo gruppo Zanda di un congresso straordinario in cui tesi contrastanti si possano misurare e contare. Sarebbe un’esperienza nuova per i più giovani a partire dalla segretaria, che di assise del genere invita sua non ne ha mai vissuta una”.
MINZOLINI: RISCHIO PER SCHLEIN DI AVER MANDATO IN FUMO LA CANDIDATURA A PREMIER
Infine arriva l’analisi/retroscena di Augusto Minzolini sul Giornale, il quale amplia ulteriormente la riflessione ad altri pezzi da novanta del campo progressista: “L’altro ieri mentre il Pd si con torceva tra il «sì» e l’astensione su ReArm Europe, uno dei più autorevoli esponenti del partito spedito a Strasburgo dispensava un consiglio che ave va tanto il sapore dell’avverti mento per la Schlein: «Con l’astensione Elly si isola dalla sinistra europea, quella di governo. Senza contare che delude i grandi nomi del partito da Prodi a Letta, a Gentiloni che sono per il sì. Per non parlare di Mattarella. Elly rischia di bruciarsi un futuro ruolo nazionale con questa scelta». Tradotto: rischia di non far mai il premier di un’ipotetica coalizione di centro-sinistra. Naturalmente, manco a dirlo, la leader del Pd ha optato per la scelta peggiore: l’astensione. Un errore. Se Achille Occhetto si giocò il futuro politico non quel ve stito marrone con cui si presentò al duello televisivo con Berlusconi, un giorno si racconterà che la Schlein ha mandato in fumo la candidatura a Palazzo Chigi con sull’astensione sul piano di riarmo europeo”.