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Ora è Draghi a cuocere a fuoco lento i 5 Stelle
I Graffi di Damato
“Si tratta a oltranza”, annuncia il Corriere della Sera in vista della verifica parlamentare sul governo Draghi, dopo le dimissioni respinte da Sergio Mattarella per la rottura praticamente consumatasi la settimana scorsa fra lo stesso Draghi e Giuseppe Conte, se vogliano chiamare le cose col loro none, senza infingimenti. Ma chi tratta? Non certamente Mario Draghi, per quanto assediato non da chi vuole liberarsi di lui ma da chi “dal basso”, come ha titolato Repubblica, lo spinge a restare temendo i danni anche di elezioni anticipate -cui sarebbe rassegnato in caso di riapertura della crisi il presidente della Repubblica- in questi tempi di emergenze, persino di guerra che dall’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin diffonde i suoi effetti anche nelle nostre case col carovita.
Draghi se ne sta sulle sue, magari ad ammirare l’Altan di Repubblica che partecipa a suo modo agli appelli a restare, godendosi i guai in cui è incorso non lui ma Conte. Che con la sua sostanziale offensiva ha aggravato confusione e crisi in quel che resta del MoVimento 5 Stelle, prossimo ad altri abbandoni, dopo quelli già sostanziosi di Luigi Di Maio e amici.
E’ uno sgretolamento, quello dei grillini, che potrebbe in teoria indurre Draghi a non ritenere più essenziale neppure sul piano politico, oltre che numerico nelle aule parlamentari, la partecipazione delle ormai spente 5 Stelle al governo e alla maggioranza. D’altronde, la situazione in cui si trova Draghi è stata ben rappresentata dal costituzionalista Michele Ainis dicendo che il problema non è della fiducia da accordare al presidente del Consiglio ma della fiducia che questi si sente o no di riporre o concedere di nuovo alla sua maggioranza, dove a creargli problemi non sono stati peraltro solo i grillini ma anche altri: per esempio, i leghisti.
Se qualcuno sta veramente trattando in queste ore dietro le solite quinte bisognerebbe forse cercarlo nel Pd. Dove il segretario Enrico Letta sta praticando una terapia di accanimento, diciamo così, alla politica del “campo largo” perseguita con Giuseppe Conte per non essere costretto -quando si andrà alle elezioni- a cercare più spasmodicamente un’intesa con l’area centrale affollata da transfughi dello stesso Pd e del centrodestra. Ma ormai che cosa potrebbe ancora garantirgli e procurargli un MoVimento 5 Stelle ridotto al ruolo e alle dimensioni cui l’ha portato Conte in una versione populista che lo ha messo in concorrenza un pò con l’ex alleato leghista Matteo Salvini e un pò con l’ex grillino Alessandro Di Battista? Il quale ultimo potrebbe magari soffiargli il posto rientrando nel movimento tornato alle origini, ma senza i numeri elettorali e parlamentari del 2018.
E Grillo, il fondatore, il garante, l’Elevato, con la maiuscola? Si lascia attribuire i più disparati umori, anzi malumori, e gioca su internet con i barattoli di colla. Che però non è solo quella dei “traditori” attaccati alle poltrone, ma anche quella che lo lega all’idea, appena rilanciata sul suo blog, che deve finire “la nostra ossessione per la crescita”. Sarebbe nella decrescita la nostra felicità, oltre che il nostro avvenire. Anche lui è tornato alle origini, senza averne più i numeri.