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Paragone e Di Battista fanno vedere le stelle al Movimento

Paragone

I Graffi di Damato sulle guerre 5Stellari innescate da Paragone (espulso dal Movimento) e Di Battista contro Grillo e Di Maio

Di fronte alle “guerre 5stellari” -come le ha definite col titolone di prima pagina la Repubblica di carta riferendo sulla crisi dell’omonimo movimento- superiori per impatto sui nostri giornali persino ai venti ancora più forti di guerra vera e propria che soffiano sulla Libia, ed hanno maggiormente interessato col solito titolo felice il manifesto, bisogna riconoscere che solo il masochismo di un comico può spiegare l’allegria con la quale Beppe Grillo ha voluto salutare sul suo blog personale l’arrivo dell’anno Grillo nella fossa. Che lui in persona, con la sua voce e la sua faccia, ha preannunciato “magnifico” spalando la terra per la fossa nella quale sta sprofondando il suo movimento anche o ancor più nella nuova esperienza di governo col Pd, dopo i danni subiti governando con la Lega.

Non ci vuole certo la fantasia del pur brillante vignettista del Foglio, che rappresenta Grillo contrariato più dalla permanenza di Luigi Di Maio al vertice del movimento che dall’espulsione del senatore Gianluigi Paragone, per immaginare che il comico sapesse bene ciò che stava per accadere dalle sue parti mentre scavava con compiacimento quella fossa a Capodanno.

Già chiare con le dimissioni di Lorenzo Fioramonti da ministro della Pubblica Istruzione, e con i suoi progetti di scomposizione a livello parlamentare, le previsioni di crisi sotto le cinque stelle e dintorni, compreso il governo della ”maratona” di tre anni ottimisticamente annunciato o promesso da Giuseppe Conte, si sono rafforzate con l’intervento di Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici e gli adoratori, a favore dell’appena espulso Paragone. Che non sarà un campione di coerenza, per carità, come ha documentato con le solite stringatezza e bravura Mattia Feltri sulla Stampa e sul Secolo XIX, ma rappresenta come pochi altri nelle parole, nei fatti e negli sprezzanti giudizi su capi e capetti del movimento, in groppa al quale è arrivato in Parlamento, quel magma di confusione e di velleitarismo che è il partito-non partito inventato nel 2009 da Beppe Grillo. Il quale aveva appena tentato inutilmente di infiltrarsi, diciamo così, nel Pd iscrivendosi alla sezione di Arzachena, in Sardegna, e proponendosi di concorrere alle primarie per la successione a Walter Veltroni, decapitato dai contrasti interni a quell’”amalgama mal riuscito” lamentato da Massimo D’Alema a proposito della fusione fra i resti del Pci, della sinistra democristiana e cespugli vari.

La coppia Di Battista-Paragone, a piedi o in moto, come si rappresentò qualche tempo fa all’insorgenza delle prime, grosse difficoltà del movimento, al termine di una riunione rovente nel palazzo di Montecitorio, potrebbe terremotare non solo i grillini ma l’intero quadro politico in quest’anno appena cominciato e già stracarico di problemi. In testa ai quali c’è, ai fini della stabilità del governo, la sempre più evidente difficoltà di Di Maio a guidare e controllare quella che sulla carta sarebbe ancòra la componente principale della maggioranza. I provvedimenti di espulsione attorno ai quali lo raccontano impegnato baldanzosamente i retroscenisti fanno immaginare lo scenario di espulsioni dal partito fascista, nel 1943, alla vigilia del famoso Gran Consiglio del 25 luglio.

So bene che vignettisti, analisti, sardine e quant’altro preferiscono immaginare e rappresentare con gli stivali Matteo Salvini, che spesso presta loro il fianco, ma neppure Luigi Di Maio scherza. Non a caso, d’altronde, i due hanno già governato insieme, prima di scoprirsi incompatibili fra di loro: ma non tanto incompatibili, in fondo, se Salvini anche dopo la rottura propose che l’altro capeggiasse una seconda edizione della maggioranza gialloverde. Ricordate?

Tutti i Graffi di Damato.

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