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Le capriole del M5S (con il Pd) sancite da Rosseau

Pd M5s

I graffi di Damato sugli effetti della movida digitale che si è scatenata sulla piattaforma Rosseau, sancendo le seconde nozze tra M5S e Pd

Il pur immaginifico manifesto con quel titolo di prima pagina sulle “seconde nozze” di Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio è andato sicuramente più terra terra di Eugenio Scalfari. Che, vedendo nel risultato della consultazione digitale dei 49 mila e rotti militanti grillini – favorevoli a larghissima  o larga maggioranza al terzo mandato elettivo dei rappresentanti locali del Movimento 5 Stelle e alla ricerca di accordi, sempre a livello locale, anche con i partiti “tradizionali”, e non più soltanto con liste civiche- la conferma del pensiero che “cambia di continuo”, ha propinato ai suoi lettori di Repubblica in un numero che vale doppio, perché domani i giornali non usciranno, quasi una colonna di versi di Fernando Pessoa. E ciò dopo avere citato Dante, Petrarca ed Alessandro Magno: ripeto, Magno, non Manzoni.

Sappiamo bene, per carità, quanto sia colto il decano ormai del giornalismo attivo italiano, ma forse dovrebbe darsi pure lui una regolata col pubblico, che sui giornali vuole prosa e non versi, specie in questi tempi di disaffezione non solo virale dalle edicole.

Ancora più terra terra del manifesto è andato un altro giornale di nicchia, come si dice per la sua diffusione, come Il Foglio. Che ha tradotto “la capriola” evolutiva di Di Maio, intestatario  ormai di quella specie di movida digitale svoltasi sotto le 5 Stelle, con la maiuscola del  movimento grillino, in una vignetta che indica nel “tonno zero” il primo mandato azzerato degli eletti pentastellati a livello locale. Per i parlamentari nazionali si vedrà, magari con un’altra movida ancora più sicura di quella appena svoltasi, già garantita di suo sul piano endemico perché il covid 19 per fortuna non si trasmette per computer. Il tonno, come ha ricordato anche Tiziana Maiolo sulla prima pagina del Riformista, è  naturalmente quello di cui i grillini volevano liberare il Parlamento aprendolo come una “scatoletta”. Debbono averlo trovato tanto buono da cominciare ad allentare tutto l’armamentario “anti-casta” con cui si erano proposti agli elettori all’inizio della loro avventura politica.

Dicevo di Luigi Di Maio e dell’abilità che sicuramente ha avuto, con una serie di incontri a sorpresa, di dichiarazioni tempestive alla vigilia del voto digitale e di un accordo col Pd locale per l’elezione del nuovo sindaco della sua Pomigliano d’Arco, di intestarsi paternità, merito e quant’altro della svolta, come da tutti è stata salutata la consultazione dei militanti pentastellati. Il povero Vito Crimi, che pure è il capo reggente del movimento grillino dopo la rinuncia proprio di Di Maio, si è perduto praticamente per strada. Eppure non è il caso né di entusiasmarsi né di allarmarsi più di tanto, secondo i gusti, di fronte alla solita enfasi del giovane ministro degli Esteri che, senza affacciarsi stavolta né dal balcone di Palazzo Chigi né da qualche finestra della Farnesina, ha annunciato per il suo movimento e, più in generale forse, per l’Italia “una nuova era”.

L’altra volta, quasi  due anni fa, mentre si cucinava la legge finanziaria del 2019, Di Maio si affacciò a Palazzo Chigi su una folla festante come vice presidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo Economico, ministro del Lavoro e capo del suo movimento annunciando la “sconfitta” della povertà in Italia grazie al cosiddetto reddito di cittadinanza. Si è visto com’è finita, e non solo per effetto dell’epidemia virale sopraggiunta in questo disgraziatissimo 2020, che purtroppo non è ancora terminato e minaccia di portarci a un 2021 peggiore.

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