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ministro della difesa contro la burocrazia della Pa

Crosetto fa bene a tuonare contro la Pubblica amministrazione?

In una intervista a Messaggero e Mattino, il ministro della Difesa ha detto che “nelle amministrazioni pubbliche” c’è chi “si è contraddistinto per la capacità di dire no e di perdere tempo”

A difesa delle procedure più snelle e di una Pubblica amministrazione che non danneggi il Paese. Sono non poche le staffilate lanciate dal ministro della Difesa Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia, nell’intervista a Alberto Gentili sul Messaggero e il Mattino (quotidiani del gruppo Caltagirone) di oggi.

OGGI LA MANOVRA ARRIVA IN SENATO

Il discorso di partenza riguarda la Manovra, sulla quale Crosetto dice chiaramente – tra l’altro – che “a quelli che sostengono che abbiamo elargito mance e che si sono inventati i banchi a rotelle, rispondo che al contrario di loro non abbiamo sprecato un solo euro. Noi abbiamo lavorato per la crescita”.

Un percorso, però, innegabilmente a ostacoli quello delle modifiche alla legge di Bilancio, la prima del governo Meloni.  “Il primo problema è stata la tempistica: Giorgetti ha avuto appena tre giorni per mettere su la manovra”, risponde il ministro a un Gentili incalzante. Difendendo il lavoro fatto anche perché “le risorse erano poche”.

IL MINISTRO DELLA DIFESA CONTRO LA BUROCRAZIA DELLA PA

Ecco allora che si arriva alla staffilata di cui sopra. “Il secondo [problema, ndr] è quello di una classe dirigente nei ministeri e in ogni settore della macchina burocratica che va cambiata in profondità”. Per Crosetto, “non si può pensare di fare politiche nuove e diverse, se nei posti chiave tieni funzionari che hanno mentalità vecchie o servono ideologie di cui noi rappresentiamo l’alternativa”.

Quindi? Quale soluzione apportare a tutto ciò? “Di certo non è facile sostituire le burocrazie esistenti. Perché alcune persone sono di grande valore. E perché la macchina amministrativa deve andare avanti e non puoi fermarti mandando subito via funzionari di cui non ti fidi o hanno idee diverse dalle tue. Ci vuole un po’ di tempo. Ma bisogna avere il coraggio di fare queste scelte, mentre in alcuni ministeri c’è il timore di prendere decisioni che invece vanno prese per rimettere in moto il Paese. Serve coraggio”.

Per l’inquilino del ministero della Difesa, “bisogna tagliare con il machete alcune catene che bloccano lo sviluppo dell’Italia”. Ma contro chi? “Contro chi nelle amministrazioni pubbliche si è contraddistinto per la capacità di dire no e di perdere tempo. Se non mandiamo via queste persone, facciamo un danno al Paese”.

IL PERSONALE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE DISCUSSO DAL MINISTRO DELLA DIFESA CROSETTO

Le unità istituzionali delle amministrazioni pubbliche è disposto dall’Istat sulla base del regolamento Ue 549/2013 sul Sistema europeo dei conti.

 

Per il 2022, nel conto economico consolidato connesso all’articolo 1 comma 3 della legge del 31 dicembre 2009, sulla contabilità e la finanza pubblica, sono incluse tutte le amministrazioni centrali e locali. Il documento è consultabile qui. Mentre il grafico sopra si riferisce all Relazione annuale al Parlamento sul costo del lavoro pubblico, approvata dalla Corte dei Conti a Sezioni Riunite del luglio 2020 su dati del 2018 e certificati dalla Ragioneria Generale dello Stato nel Conto annuale.

OLTRE LE PAROLE DEL MINISTRO DELLA DIFESA: L’ITALIA E’ COSI’ PIENA DI DIPENDENTI PUBBLICI?

Ma cosa dicono i numeri generali sulla Pa? Se da un lato può essere conservato il discorso della farraginosità dei processi amministrativi, attualmente e spesso lenti, dall’altro occorre chiarire che la narrazione di una Pubblica amministrazione troppo folta cozza con i dati.

Come riportato da Truenumbers, se è vero che “nei prossimi anni dovranno essere sostituiti centinaia di migliaia di dipendenti pubblici” perché “la loro media – stando ai dati Forum Pa – è di 50,7 anni“,  dall’altro Istat (2018) e Ocse (2017) informano che fino a cinque anni fa il totale dei dipendenti arrivava a 3.372.500  e che in rapporto all’occupazione la percentuale arrivava a 13,43%. La media Ocse è del 17,71%.

Stando a queste cifre, il Belpaese si colloca dopo Francia, Gran Bretagna e Germania per il totale degli impiegati e soltanto prima di Olanda e Germania (in fondo alla classifica) nel tabellone Ocse sul rapporto Pa/occupati totali.  In dieci anni, l’Italia ha fatto registrare un calo dell’8,1% dei dipendenti statali, superiore a tanti altri Paesi del Vecchio Continente. Solo il Regno Unito ci supera in questa classifica con un -9% anche se vanno fatti i conti anche con la crescita della popolazione. E su questo, Canada, Turchia, Israele primeggiano su tanti altri Paesi.

Secondo ForumPA, “al 1° gennaio 2021” l’Italia “conta 3,2 milioni di dipendenti, 31 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,97%), il minimo storico degli ultimi 20 anni”. Per una spesa totale che nel 2020 ha raggiunto i “173,4 miliardi di euro per i redditi da lavoro dipendente nel settore pubblico, +0,3% rispetto al 2019, un incremento ben inferiore al +2,4% inizialmente preventivato per la crescita di personale”. E un indebitamento netto di 156.860 milioni di euro, corrispondente al 9,5% del Pil.

I MOTIVI

I motivi? Nel 2007 la percentuale di dipendenti statali superava il 14% (14,5%) e dieci anni dopo, scendendo di oltre un punto pieno, si spiega con un calo netto per via di una crescita poco evidente dei lavoratori nei due lustri.

Inoltre, sempre secondo quando riferito dal ForumPA, a pesare è “il blocco dei concorsi per l’emergenza sanitaria e l’accelerazione dei pensionamenti”. Che nel 2020, anno della pandemia, “non ha permesso al turnover di ritrovare un equilibrio”. Eppure, nel 2019 si era registrata una risalita di mezzo punto percentuale.

Risultato? “La PA italiana si conferma vecchia (in media 50 anni di età), scarsamente aggiornata (mediamente 1,2 giorni di formazione per dipendente l’anno), in difficoltà ad offrire servizi adeguati a imprese e cittadini (il 76% degli italiani li considera inadeguati, mentre gli europei insoddisfatti sono il 51%), eppure chiamata ad essere il motore della ripresa”.

LE REGIONI CON PIU’ DIPENDENTI STATALI

A livello regionale, tornando ai dati Istat e Ocse, fino ad almeno cinque anni fa spiccavano Lombardia, Piemonte e Veneto. Ma “il numero di dipendenti è superiore alla media nazionale anche in Sicilia (133.049 dipendenti), in Emilia Romagna (118.744 dipendenti), nel Lazio (114.339 dipendenti), in Toscana (96.955 dipendenti) e in Campania (95.677 dipendenti)”.

Infine, per relativizzare ancor più il discorso sull’ingombrante della Pa, va considerato che rispetto al totale della popolazione la percentuale di dipendenti statali in Italia (sempre al 2017) ammontava al 5,6% contro il 6% di sette anni prima. Anche qui, andando a ricoprire una posizione di bassa classifica, addirittura in ultima posizione al pari della Germania.

IL PNRR CI SALVERA’ (ANCHE SU QUESTO)?

In un’analisi di qualche mese fa, Edoardo Bella si chiedeva sul portale dell’Ocpi dell’Università Cattolica di Milano “al di là delle assunzioni (temporanee) previste dal PNRR, qual è un obiettivo per il livello di occupati nel settore pubblico? Se, nonostante la digitalizzazione prevista della pubblica amministrazione, si volesse tornare nel 2026 al rapporto tra occupati e popolazione medio del periodo 1980-2021, l’occupazione dovrebbe salire dalle 3,36 milioni di unità annue di lavoro del 2021 a 3,54 milioni di unità. Applicando lo stesso aumento percentuale ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato si passerebbe da 3,24 milioni di lavoratori a 3,42 milioni”.

Insomma, il quadro è complesso e accanto alle promesse, alle dichiarazioni, vanno apposti i numeri e la realtà. Dovremo chiedere, anche su questo, un miracolo al Pnrr? Probabile. Nel Piano, la missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” (valevole 40,32 mld del Pnrr) rientra tra i progetti del Mise, cui sono destinati in totale 18,161 miliardi, da sommare con i 6,88 miliardi del Fondo complementare. Mentre per il progetto specifico i soldi in ballo sono 14,16 mld: 13,38 per la transizione 4.0 e 750 min per la competitività e resilienza delle filiere produttive.

COME LAVORARE ALLA CAPACITA’ AMMINISTRATIVA

Ma oltre la digitalizzazione si deve lavorare sulla capacità amministrativa. Gli investimenti del Pnrr su questo ammontano a 1,3 miliardi di euro, cui si aggiungono 0,4 miliardi di fondi strutturali europei e di cofinanziamento nazionale. L’1,6% dell’impegno economico (20,5 milioni di euro) sarà dedicato a sviluppare politiche e strumenti per l’accesso e il reclutamento. E poi c’è il Poc, il Pon Governance da 4,5 milioni di euro.

E ancora, secondo il ForumPA, “il 57,9%, pari a 734,2 milioni di euro” andrà “nella Buona Amministrazione, più 4 milioni che stiamo già spendendo sul Pon Governance 21-23. Mentre, “il 40,5%, pari a 514,2 milioni di euro, in Competenze e Carriere delle persone, a cui vanno sommate risorse complementari per 392 milioni”.  Fabrizio Di Mascio e Alessandro Natalini scrivevano, due mesi fa sul Mulino, di almeno tre scenari per il futuro della Pubblica amministrazione. L’importante, si potrebbe aggiungere a corredo, è che alla continuità, alla moltiplicazione degli investimenti o alla svolta nella riforma del pubblico non prevalga invece un nuovo immobilismo.

 

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