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Eutanasia, intervista a Mainardi, coordinatore della campagna referendaria
Che cos’è davvero l’eutanasia e perché il referendum è importante. Intervista di Policy Maker a Matteo Mainardi, coordinatore della campagna Referendum Eutanasia Legale per l’Associazione Luca Coscioni
Sono già state raccolte più di 500mila firma a sostegno del referendum Eutanasia Legale e adesso l’obiettivo sembra essere quello di arrivare a 750mila per mettere in sicurezza il risultato. Policy Maker ha intervistato Matteo Mainardi, coordinatore della campagna Referendum Eutanasia Legale per l’Associazione Luca Coscioni, per provare a spiegare che cos’è l’eutanasia e perché questa battaglia referendaria è importante per il nostro paese.
Dottor Mainardi, come interpretare la grande partecipazione dei giovani a questa raccolta firme?
Grazie a Instagram, a YouTube, ai podcast, e in assenza di una qualsiasi minima notizia riguardante il referendum da parte dell’informazione televisiva tradizionale, i giovani sono stati tra i pochissimi ad essere stati informati pienamente della presenza del referendum. Si sono subito attivati e sono ancora oggi decisivi nella partecipazione ai tavoli di raccolta firme, nel fare un grandissimo e capillare passaparola per tutta Italia e nel portare la discussione sul fine vita in famiglia, tra i colleghi di università, lavoro e amici. Confrontarsi apertamente sul fine vita non è più un tabù.
Perché in Italia è necessario un referendum di questo tipo?
La prima proposta di legge sull’eutanasia è stata depositata nel 1984. In trentasette anni il Parlamento non è mai riuscito a discuterne. I casi di Piergiorgio Welby, Beppino Englaro con la figlia Eluana, Walter Piludu, Max Fanelli, Dj Fabo, e una proposta di legge popolare nel 2013, hanno permesso di arrivare alla legge 219/2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), il cosiddetto testamento biologico, ma la grande assente nel dibattito dei partiti è rimasta l’eutanasia legale.
Come valutare l’atteggiamento del legislatore?
Di fronte all’imputazione di aiuto al suicidio nei confronti di Marco Cappato per aver aiutato Fabiano Antoninani a recarsi in Svizzera, il Parlamento ha consciamente omesso la discussione sulle tutele della persona malata che decide di porre fine alle proprie sofferenze. Questo nonostante un’ordinanza e una successiva sentenza della Corte costituzionale. Davanti a un atteggiamento pilatesco del legislatore, la nostra democrazia non permette a noi cittadini altro strumento che quello del referendum abrogativo per affermare il nostro diritto a prendere decisioni libere e informate sul nostro corpo, dall’inizio alla fine della nostra vita.
Potete spiegarci per bene limiti e confini del vostro disegno di legge di iniziativa popolare?
Quando depositammo la proposta di legge popolare per l’Eutanasia Legale nel 2013, ci trovavamo in una situazione molto diversa dall’attuale. Da pochi anni era entrata in vigore la legge 38/2010 sulle cure palliative e la persona che chiedeva a un medico l’interruzione di una terapia non più utile o il distacco di un macchinario salvavita, come un respiratore artificiale, esponeva il medico e la struttura sanitaria a lunghi processi penali.
Per far rispettare la volontà di un proprio caro, come nel caso di Englaro, poteva essere necessario un iter giudiziario di 17 anni. Verso il termine della propria vita, le persone si potevano trovare schiacciate tra un progresso formidabile della medicina e della tecnica, e un codice penale che li obbligava a subire quelle tecniche. In quel contesto la nostra proposta di legge voleva essere uno stimolo al Parlamento per una discussione più approfondita.
Cosa chiedete oggi?
Oggi continuiamo a chiedere che quando una persona maggiorenne, in uno stato di piena capacità di intendere e volere, informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile, le cui condizioni di patologia portatrice di gravi sofferenze siano accertate dal Sistema Sanitario Nazionale, richiede un aiuto medico al suicidio, il SSN si attivi per proporre tutte le possibili alternative, rendendole al contempo disponibili, e solo in caso di assenza di possibili alternative o rifiuto di queste, i sanitari non siano punibili per l’assistenza e l’accompagnamento alla morte fornito alla persona che ne fa richiesta.
Si parla di “sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili” e “condizione clinica irreversibile”. Quali sono i confini dell’eutanasia?
Una vittoria referendaria sull’Eutanasia Legale continuerebbe a vietare l’aiuto medico alla morte volontaria a persone il cui consenso sia stato estorto con violenza, sotto minaccia o suggestione, così come a persone minorenni e persone con infermità mentale. Alla base vi è l’ordinanza 207/2018 e successivamente la sentenza 242/2018 della Corte costituzionale che pone la pratica nell’alveo del solo Sistema Sanitario Nazionale, unitamente alla legge 219/2017 che norma il il consenso informato. Questi confini sono già presenti nel nostro ordinamento e non vengono scalfiti, ma anzi vengono resi centrali dal referendum.
Cosa ne pensate dei timori espressi dal Vaticano?
Credo che soprattutto i cittadini cattolici con cui ogni giorno da due mesi raccogliamo le firme, vedano come semplicistiche queste affermazioni. Preferiremmo un dialogo con il comune obiettivo di tutelare la persona e la sua integrità, piuttosto che doverci confrontare con accuse fondate su visioni di futuri distopici in cui le persone vengono uccise per la non accettazione della malattia da parte della società.
Come funziona negli altri paesi?
Rimanendo nel perimetro dell’Unione Europea: da 13 anni il Lussemburgo, da 18 il Belgio e da 19 anni l’Olanda, hanno preferito dare regole e norme alle pratiche eutanasiche. Sono riuscite così a farle emergere dalla clandestinità e dalle zone grigie del diritto, con il fine di prevenire abusi e dare tutele alla persona malata. In questi Paesi non si è verificato ciò che teme Vincenzo Paglia, all’opposto il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona sono diventati centrali e grazie alla legalizzazione protetti da interferenze di terzi. Insieme a ciò, il parallelo sviluppo di una rete capillare e inclusiva di cure palliative e assistenza personalizzata hanno permesso e permettono di rendere realmente libera la persona anche nell’ultima fase della propria vita.