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Perché i magistrati non si fidano dei magistrati
Che cosa celano le critiche dell’Anm alla norma approvata dal governo sulle pagelle per i magistrati. I Graffi di Damato.
La dice lunga il processo sindacale, politico e mediatico -tra associazione nazionale dei magistrati, buona parte delle opposizioni al governo e giornali come Il Fatto Quotidiano sostenuto, come al solito, dal salotto televisivo di Lilli Gruber su la 7- alle pagelle dei magistrati contemplate da un decreto delegato approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.
Queste pagelle, aggiornate ogni quattro anni per valutare, ai fini della carriera sinora automatica col passare del tempo, le prestazioni dei pubblici ministeri e dei giudici -tenendo conto delle capacità organizzative e della corrispondenza delle loro iniziative agli sviluppi dei processi- non verranno confezionate negli uffici del Ministero della Giustizia, peraltro pieni ancora di magistrati distaccati, che influiscono molto sul loro funzionamento, ma al Consiglio Superiore della Magistratura. Che è l’organo di autogoverno delle toghe le cui competenze sono fissate dall’articolo 105 della Costituzione.
LE PAGELLE DEI MAGISTRATI VALUTATE… DAL CSM
Continuano insomma ad essere i magistrati, come nei tribunali dove si giudicano, per esempio, le loro denunce quando si sentono diffamati da noi giornalisti, a valutare le loro iniziative. Ebbene, se questi benemeriti -non sempre, in verità- servitori dello Stato non si fidano neppure di loro dubitando delle pagelle perché dovrebbero fidarsi delle loro valutazioni gli indagati e poi gli imputati? Cioè noi cittadini non togati cui può capitare di finire sotto le loro lenti o grinfie professionali?
Ecco una domanda che mi sarebbe piaciuto ascoltare da Lilli Gruber ieri sera a Marco Travaglio, interrompendolo mentre parlava del pericolo che pubblici ministeri e giudici vengano bloccati nelle loro iniziative e condanne dalla paura di vedersi penalizzati con le pagelle. Le quali con due successive valutazioni negative ne bloccano stipendi e carriera, peraltro per un solo anno perché gli interessati hanno il diritto di essere rivalutati, e sbloccati, entro dodici mesi, sempre rimanendo quindi in carriera. Che non è poco, credo, a tutela del loro lavoro.
SE ANCHE GRATTERI ERA FAVOREVOLE ALLE PROVE PSICO-ATTITUDINALI..
Discutibile è anche l’azione di contrasto condotta -e riuscita sinora- contro le prove psico-attitudinali che il governo avrebbe voluto istituire all’avvio delle carriere. E qui mi appello -come ha fatto meritoriamente Alessandro Sallusti sul Giornale– al parere favorevole espresso nel 2019 dall’insospettabile Nicola Gratteri alla proposta avanzata in quel senso da Silvio Berlusconi, ieri associato fotograficamente sul Fatto alla premier Meloni e ai ministri Nordio e Crosetto come in una banda criminale anti-toghe.
Gratteri, oggi capo della Procura della Repubblica di Napoli, ritenne opportuno che i suoi colleghi togati fossero sottoposti alla prova psico-attitudinale non solo prima di entrare in carriera ma ogni cinque anni per rimanervi, non potendosi obiettivamente escludere che disturbi e simili sopraggiungano all’assunzione per le più diverse ragioni. Mettiamo anche Gratteri nel fotomontaggio del Fatto?