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Perché il G20 di Roma farà bene soprattutto a Draghi

G20 Draghi

Mario Draghi vola alto col “suo” G20 in una Roma blindata e ottobrina. I Graffi di Damato

In una Roma blindata per il G20, a protezione dell’evento e dei suoi protagonisti; reduce dall’approvazione del bilancio con cui ha chiuso anche un altro, forse il più difficile passaggio del suo governo in carica da febbraio; dubbioso che i sindacati davvero arrivino allo sciopero minacciato ma pronto a prenderne eventualmente atto perché convinto che essi non abbiano le sponde politiche alle quali erano una volta abituati, Mario Draghi può gestire con soddisfazione, e si spera anche con tranquillità, l’appuntamento internazionale attorno al quale ha intensamente lavorato. E che confermerà il prestigio personale di cui credo che nessun altro presidente del Consiglio italiano abbia goduto da alcuni decenni a questa parte.

E’ un prestigio, quello di Draghi, che probabilmente ne rafforzerà a conclusione del G20 e degli incontri bilaterali programmati, a cominciare da quello di oggi col presidente degli Stati Uniti Joe Biden atterrato di notte in Italia, la candidatura al Quirinale. E ciò nonostante il distacco, e a tratti anche il fastidio, con cui egli l’ha seguita attraverso i giornali, o i partiti, o singole personalità del governo e della maggioranza, ma anche dell’opposizione, che l’hanno lanciata e l’alimentano tuttora. Non credo, francamente, che lui ne abbia tanta voglia, a dispetto di molti che scalciano pubblicamente o tessono tele più o meno di nascosto per loro stessi o per altri che ritengono di potere controllare, o di cui ottenere poi contropartite politiche.

Proiettato ormai più in una dimensione internazionale, più in particolare europea, non si sbaglia forse ad immaginare il presidente del Consiglio interessato soprattutto portare avanti da Palazzo Chigi, nel tempo che gli consentiranno le circostanze politiche, il lavoro di governo impostato con paziente fermezza ed esplicita soddisfazione. “Tagliamo le tasse e stimoliamo gli investimenti”, ha detto Draghi illustrando il bilancio appena approvato fra gli applausi dai ministri.

Eppure di questo bilancio quello che ha colpito di più un giornale come Il Fatto Quotidiano, che cito così di frequente riferendo sulla politica italiana per la capacità che gli va riconosciuta di esprimere una parte importante degli umori, diciamo così, serpeggianti in un movimento non secondario della maggioranza com’è quello delle 5 Stelle ora presieduto da Giuseppe Conte; eppure, dicevo, di questo bilancio ciò che ha colpito di più, e negativamente, il giornale diretto da Marco Travaglio sono i presunti favori fatti alla Confindustria e “gli stipendi più alti, fino al 40%, per i sindaci e gli assessori”. Che sarebbero una specie di sotto-casta, peraltro ormai sempre meno a portata di mano dei grillini, più in uscita che in entrata nei Comuni da aprire come scatolette di tonno, alla maniera delle Camere, e scoprirne l’appetibilità.

I malumori pentastellati per un governo che avrebbe fra i vari torti soprattutto quello di avere sloggiato Conte da Palazzo Chigi sono emersi anche all’ultimo momento, quando Draghi ha resistito ai tentativi dei grillini di mettere il loro amato, adorato “reddito di cittadinanza” al riparo dalla stretta dei controlli, dopo tutti gli abusi compiuti e permessi, Che hanno indotto il presidente del Consiglio a dire che la misura sarà pur apprezzabile ma “non ha funzionato”: né per “sconfiggere la povertà”, come annunciò trionfalisticamente Luigi Di Maio nel 2018 dal balcone di Palazzo Chigi per poi pentirsene, né per preparare i beneficiari a nuovi lavori, rifiutabili sino a tre volte, ora due.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

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