skip to Main Content

Perché l’emergenza della prescrizione è più percepita che reale nei tribunali

I graffi di Damato

La prescrizione dei processi è ormai entrata a gamba tesa, grazie ai grillini ma anche a qualche giornalone, nell’elenco delle emergenze più percepite che reali. Come quella della criminalità, smascherata di recente da Piero Sansonetti senza ricorrere ad uno scoop ma solo opponendo ai consueti allarmi, che hanno contribuito a portare Matteo Salvini al Viminale, i dati dello stesso Ministero dell’Interno sulla riduzione di omicidi, rapine e altro ancora registratasi ben prima della rivoluzione, rivolta, cambiamento e via sfogliando il dizionario politico gialloverde.

LE EMERGENZE DEL GOVERNO GIALLOVERDE

Lo stesso discorso vale per immigrati, sbarchi e simili: un’emergenza percepita a livello elettorale il 4 marzo scorso, a beneficio sempre di Salvini e della sua Lega non più confinata al Nord, anche dopo la forte battuta d’arresto verificatasi durante il governo di Paolo Gentiloni grazie all’azione del suo ministro dell’Interno Marco Minniti. Che fu poi ingenerosamente e improvvidamente accusato, nel marasma della sconfitta elettorale del Pd, dal presidente Matteo Orfini di avere dato e praticato “una lettura di destra” al fenomeno che stava facendo le fortune leghiste.

TUTTI I PROCESSI INCENERITI

Il Corriere della Sera ha appena pubblicato un paginone, richiamato in prima pagina e confezionato a quattro mani da Luigi Ferrarella e Milena Gabanelli, sui “130 mila processi ogni anno in fumo” per la prescrizione. Che da gennaio del 2020 il governo gialloverde si è perciò proposto, nella legge cosiddetta spazzacorrotti all’esame della Camera, di bloccare all’emissione della prima sentenza, di condanna o di assoluzione che sia. A condizione – hanno precisato i leghisti – che nel frattempo lo stesso governo abbia chiesto, ottenuto dal Parlamento e attuato la riforma del processo penale. Manco per niente, hanno risposto all’unisono dal fronte grillino il guardasigilli Alfonso Bonafede e il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, convinti che non ci siano condizioni sospensive di sorta. E ciò -ha aggiunto un sottosegretario a cinque stelle di cui non ricordo il nome, ma sicuramente ardimentoso e senza remore scaramantiche- anche se il governo dovesse cadere inciampando in qualcuna delle mine che esso stesso sta mettendo sul suo percorso sfidando mezzo mondo, anzi di più.

Eppure, prima di spingersi sino alla pagina 23 del Corriere – graficamente imponente con quel titolo sui processi inceneriti dalla prescrizione, come nei termovalorizzatori reclamati da Salvini per le immondizie in Campania – già nel breve testo di richiamo in prima pagina si trova la notizia, non credo irrilevante, del 58 per cento di riduzione della prescrizione verificatasi rispetto al 2004. Dov’è allora l’emergenza? Viene spontaneo chiedersi e chiedere.

Nell’interno si spiega che i 130 mila processi estinti per prescrizione si sono stabilizzati, diciamo così, negli ultimi sei anni “in leggera altalena”, ma “non sempre – ha scritto Ferrarella – per colpa dei cavilli di avvocati “azzeccagarbugli” di memoria manzoniana, recentemente riproposti al pubblico ludibrio dal guardasigilli, prima di ripensarci e scusarsi.

Su cento rinvii” di cause, foraggio indispensabile per la prescrizione dei processi in corso, “i legittimi impedimenti per avvocato o imputato -ha scritto ancora Ferrarella citando una ricerca di Eurispes del 2010- hanno contato, rispettivamente, per il 2,3 e l’1,2 per cento, l’omessa citazione o l’assenza dei testi della difesa per lo 0.1 e l’1,2 per cento, le questioni processuali per l’1,9. Il resto va sul conto della macchina giudiziaria, tra cui l’11,2 per cento per assenza o omessa citazione dei testi dell’accusa e il 5,7 per assenza del giudice”.

Ma va soprattutto “considerato – ha scritto ancora Ferrarella – che dal 58 al 70 per cento delle prescrizioni totali maturano ogni anno nelle indagini prima del processo, in mano ai pubblici ministeri”. Molti dei quali sono magari gli stessi che più si stracciano le vesti nel protestare contro chi usa, anzi abusa della prescrizione. E la vorrebbero abolire nel momento stesso dell’apertura delle indagini, senza aspettare né il rinvio a giudizio né la prima sentenza.

AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ DELLA MACCHINA GIUDIZIARIA

L’ultima stilettata di Ferrarella, che conosce i tribunali a menadito, è contro la speranza, o l’illusione, del guardasigilli di aumentare la produttività della macchina giudiziaria con trentamila assunzioni di cancellieri, senza considerare che non riusciranno a pareggiare neppure “il 12-13 per cento di personale amministrativo in potenziale zona pensione” per effetto della cosiddetta “quota cento”. Che Salvini ha imposto al governo per rottamare la legge Fornero.

TEMPI RAGIONEVOLI CON BLOCCO PRESCRIZIONE?

Milena Gabanelli, dal canto suo, si è chiesta se la “fine degli abusi del diritto” propostasi dal guardasigilli col blocco della prescrizione alla sentenza di primo grado potrà essere “sufficiente a celebrare in tempi ragionevoli”, come garantisce l’articolo 11 della Costituzione, “quei 130 mila processi” oggi condannati dalle statistiche alla prescrizione, peraltro senza grandi differenze fra Nord e Sud. “No”, ha risposto Milena spiegando che “al contrario, i tempi si allungheranno perché il condannato ha sempre interesse a ricorrere in appello per sperare in un’assoluzione, una riduzione di pena, o eventuali modifiche di legge. E i magistrati invece – ha continuato – non più sotto pressione della prescrizione potrebbero prendersela con comodo”, o con più comodo di adesso.

È augurabile per la Gabanelli, peraltro già candidata sotto le cinque stelle del cielo grillino alla presidenza della Repubblica, che questo suo sospetto, o convinzione, in materia di prescrizione non le costi – con rischi anche fisici, coi tempi che corrono, oltre che verbali – l’espulsione dall’albo, appena affisso dal supergrillino Alessandro Di Battista sulla sua bacheca elettronica dal lontano Nicaragua, degli otto giornalisti italiani con la schiena più dritta. Che diventerebbero così sette. Rimarrebbero, in ordine rigorosamente alfabetico, Franco Bechis, Pietrangelo Buttafuoco, Luisella Costamagna, Massimo Fini, Fulvio Grimaldi, Alberto Negri e naturalmente Marco Travaglio. E chi sennò?

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top