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Perché saranno travagliati i ballottaggi delle comunali

Ballottaggi Comunali

I Graffi di Damato

Già, i ballottaggi di domani. Chi se li ricordava o se li ricorda ancora dopo tutto quello che è accaduto una quindicina di giorni fa nel primo turno delle elezioni amministrative riguardanti un migliaio di Comuni e quasi nove milioni di aventi diritto al voto, rimasti in gran parte a casa, o corsi al mare, per quanto avessero anche l’occasione di poter votare su cinque referendum sulla giustizia, tutti sommersi nelle acque dell’astensionismo? Che non è più soltanto una tendenza, ma un partito: questo sì di maggioranza, persino assoluta in certi casi. Altro che la maggioranza relativa del 33 per cento conquistata dai grillini nelle elezioni politiche di quattro anni fa. Che furono peraltro le ultime per il rinnovo di Camere affollate di un migliaio di seggi, contro i seicento della prossima volta fortemente voluti con vocazione di tacchini a Natale proprio dai grillini. I quali ne saranno -furbi che sono- i maggiori danneggiati.

Fra le cose accadute tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative di questo ultimo anno della legislatura – salvo autoreti di Giuseppe Conte con la crisi di governo chiestagli da Alessandro Di Battista come condizione non per rientrare nel MoVimento 5 Stelle ma solo per cominciare a rifletterci- c’è stata la scissione proprio dei grillini, compiuta come in un blitz dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e da un’altra sessantina di parlamentari, fra deputati e senatori.

Non credo proprio che i già pochi elettori locali -di loro- del movimento presieduto da Conte, arrivato al primo turno delle amministrative senza neppure un candidato a sindaco, avranno tanta voglia di correre domani alle urne per esprimergli in qualche modo solidarietà, comprensione e quant’altro per il torto che l’ex presidente del Consiglio, spalleggiato dal presidente della Camera Roberto Fico a dispetto della neutralità del suo ruolo istituzionale, ritiene di avere subìto da Di Maio. Nè quest’ultimo ha avuto il tempo e la voglia, giustamente, di dare indicazioni per i ballottaggi di domani, anche se è proprio ai sindaci ch’egli ha pensato come ai primi interlocutori del suo “progetto” per un “futuro insieme”.

Il rischio di un’ulteriore crescita dell’astensionismo è stato avvertito da uno che il naso per cogliere gli umori della gente ce l’ha di sicuro come Silvio Berlusconi, anche se non riesce più a raccogliere i voti di una volta ed ha subìto all’interno del “suo” centrodestra il sorpasso prima della Lega di Matteo Salvini e poi, ancora più consistente e carico di conseguenze sulla strada di Palazzo Chigi, dei fratelli d’Italia della neo-conservatrice, già missina, Giorgia Meloni. Il Cavaliere ha trovato il tempo, fra cene, scherzi al ristorante con la coppia Chiara Ferrandi e Ferrez e nuova passione calcistica, per lanciare un appello alla partecipazione elettorale. Ma dubito francamente che avrà successo, specie dove il “suo” centrodestra- ripeto- ha fatto di tutto per perdere dividendosi. Penso soprattutto a Verona, la città dell’Arena: quella vera, non quella abusata e finta di Massimo Giletti.

Neppure Enrico Letta, il segretario del Pd, sta messo molto bene. I ballottaggi di domani dovevano servire sino a quindici giorni fa a innaffiare il cosiddetto campo largo con i grillini allestito da Nicola Zingaretti riconoscendo addirittura una funzione preminente di progressista a Conte, diventato invece un perdente di successo. Letta tuttavia -il giovane, non l’anziano zio della corte di Berlusconi- arriva ai ballottaggi di domani favorito paradossalmente, oltre che dalle divisioni del centrodestra, dalle catastrofiche posizioni di partenza. Dei tredici Comuni alle urne solo in due il Pd vinse nelle elezioni precedenti, cinque anni fa. Gli può francamente andare solo meglio. Se gli andasse peggio, lunedì egli non dovrebbe neppure farsi rivedere al Nazareno.

 

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