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Perché sul terzo mandato Meloni è preoccupata dalla Liga Veneta (più che da Salvini)

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L’assessore allo Sviluppo Economico del Veneto Roberto Marcato ha invitato il Carroccio a smarcarsi da Fratelli d’Italia, se il partito di Meloni intende prendersi la Regione

La Lega di Matteo Salvini è in crisi di consensi, e non da oggi. Eppure, rimane al centro delle vicende che interessano la maggioranza di governo. Perché il Carroccio, tra i quattro poli al governo, è sempre quello che prova a fare da guastafeste alla leadership incontrastata di Giorgia Meloni. Nonché alla risalita di Forza Italia con Antonio Tajani. La questione più cocente è certamente quella del terzo mandato dei presidenti di Regione, dove si incrocia la crescita di Fdi sui territori con le pretese della vecchia Lega nord. A sua volta ben distinta, in tante cose, dalla linea nazionale di Matteo Salvini.

CHE SUCCEDE SUL TERZO MANDATO

Facciamo ordine. Ieri, il Senato ha bocciato l’emendamento leghista su terzo mandato. La mossa è stata, infatti, accolta soltanto da 26 voti e respinta da ben 112, con 3 astenuti.

Sempre Palazzo Madama, poi, ha respinto un emendamento del Carroccio per l’eliminazione del ballottaggio per i sindaci. E lo stop è arrivato proprio dagli alleati del vicepremier leghista, oltre che dalle opposizioni (eccetto Italia Viva che ha votato sì). Per ricordare, la Lega aveva proposto che per i comuni con bacino superiore ai 15mila abitanti sarebbe bastato arrivare al 40% delle preferenze elettorali per diventare primo cittadino.

UN PROBLEMA INTERNO ALLA LEGA E AL GOVERNO MELONI

Come abbiamo raccontato anche su Start Magazine, “la richiesta del segretario leghista, vicepremier, ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha un suo significato da non sottovalutare. Lo hanno declassato come l’emendamento salva-Zaia”. Ma forse il terzo mandato salverebbe anche Salvini, impaurito da governatori come quello attuale del Veneto per una possibile successione alla guida del Carroccio nazionale.

D’altronde, un problema Salvini esiste. Non solo per Meloni e Tajani, per il discorso del guastafeste cui si accennava in apertura. Come scrive oggi Il Foglio, la Lega senza il nome del suo leader e vicepremier guadagna 1,5 punti in più. Un caso? Per ora, intanto, dalla Lega respingono ad esempio le voci che metterebbero in discussione la segreteria dell’ex uomo Papeete 2019. Parlando a Libero, Riccardo Molinari (capogruppo Lega alla Camera) ha detto: “Il ruolo di Matteo non è in discussione. E di congresso io eviterei di parlare a tre mesi dalle elezioni europee. Poi la data e le modalità le deciderà il segretario. Non mi sembra questo il tema”. E ancora: “”Penso che prima delle europee dobbiamo chiarirci bene sulla linea politica della Lega da spiegare alla gente. Noi dobbiamo avere un posizionamento politico chiaro e continuare ad essere il partito che parla alle imprese e ai lavoratori, che rappresenta il e punta a superare in tutto il Paese politiche parassitarie, che parla di pensioni e che ascolta i ceti produttivi. La Lega, insomma”.

Il tentativo di riguadagnare terreno a livello regionale, poi, per la Lega prosegue anche con la riforma dell’autonomia differenziata presentata dal ministro Roberto Calderoli. Cui fa da contraltare il progetto del premierato su cui sta spingendo Giorgia Meloni. Insomma, è sempre una questione di do ut des. E il primo partito della coalizione di centrodestra, adesso, vuole farsi strada anche sulle Regioni, piazzando uomini e donne suoi.

LE ZIZZANIATE DI ROBERTO MARCATO A MELONI

Parlando ad Affari Italiani, l’assessore allo Sviluppo Economico del Veneto Roberto Marcato ha detto senza mezze misure: “Se il partito della premier, Fratelli d’Italia, dice noi o noi e basta dobbiamo andare al voto da soli, senza gli alleati di centrodestra. Costruiamo un’alleanza con la lista Lega, la lista Zaia, che già esiste da moltissimi anni, più una lista autonomista veneta e vinciamo di sicuro sia contro il resto del centrodestra sia contro Pd e alleati”.

Sulla strategia della Lega, però, ha aggiunto che “non ho ben capito la strategia del mio partito. Si sapeva già che sarebbe stato bocciato il terzo mandato e non capisco perché è stato ripresentato in aula al Senato dopo la bocciatura in Commissione. O c’è dietro una strategia, che non vedo, magari si tratta di un tassello per poi tornare sul tema dopo le elezioni europee oppure non capisco il senso di farsi bocciare due volte il terzo mandato ora che siamo in campagna elettorale”. Per l’assessore “è chiaro che per Fratelli d’Italia è l’occasione della vita quella di avere una regione del Nord il prossimo anno e anche per il Pd che in questo modo fa fuori una serie di personaggi interni scomodi, primo fra tutti Vincenzo De Luca. Resta una chiara e netta frattura nella maggioranza di centrodestra che rafforza ancora di più il fatto che nel 2025 il candidato in Veneto deve essere un leghista. Serve continuità amministrativa e non vanno sbagliate le politiche in campo economico, sanitario e su tutti gli altri settori dell’amministrazione regionale”. Il già citato Molinari, al quotidiano diretto da Mario Sechi, sul punto ha aggiunto: “Ci sono regioni che sono e rimarranno leghiste. Le cito il Veneto che va tanto di moda in questo periodo. Noi vogliamo che Zaia possa fare il terzo mandato, ma se non ce ne sarà data la possibilità, rivendicheremo comunque il candidato governatore. A questo aggiungiamo che per noi la possibilità di ricandidare chi ha ben governato è una battaglia di democrazia che non vale solo per il Veneto”.

Insomma, o Lega o morte. Anzi, Liga. Perché più del Carroccio nazionale conta quello dei territori. Anche per Meloni.

 

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