Alle 18 in una cena informale a Bruxelles si attovagliano i grandi leader dei 27 paesi dell’Unione. Sempre in pole la candidatura per un bis di Ursula von der Leyen, mentre per l’Italia la strada è quella di una vicepresidenza e di commissario con un portafoglio pesante. Chi sarà?
Accantonati i fasti del G7 la politica torna ad occuparsi di ciò che forse sa fare meglio: le nomine. Questa sera i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi Ue si incontrano in una cena informale, organizzata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, per discutere di chi dovrà ricoprire i posti di vertice delle istituzioni Ue. In discussione ci sono la presidenza della Commissione, del Consiglio europeo, del Parlamento e il ruolo di Alto rappresentante per gli Affari esteri. La decisione formale, invece, è attesa nel Consiglio europeo del 27 e 28 giugno.
In pole position c’è sempre Ursula von der Leyen che sta lavorando per il bis . “È stata anche nominata dal Ppe candidata leader dal congresso a Bucarest in marzo – ricorda il Corriere della Sera – Negli ultimi giorni, dopo una campagna elettorale molto dura in cui è stata attaccata da socialisti e liberali, è tornata a essere la favorita insieme al socialista António Costa come presidente del Consiglio europeo”. Che sia a caccia di voti, come scrive La Stampa è indubbio e che la partita sia ancora lunga da giocare pure. Ma in tutto questo cosa chiede l’Italia? La risposta la fornisce Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, intervistato dal Corriere della Sera: “Bisognerà tenere conto della nuova situazione europea, dei risultati ottenuti dai singoli gruppi. Il Ppe ha vinto, i socialisti non hanno vinto, i liberali hanno avuto difficoltà. Nell’attribuzione degli incarichi, sia a livello di Stati che di incarichi istituzionali europei e del quadro internazionale, ne va tenuto conto. Il Ppe deve essere tenuto in grande conto per i vertici apicali” e per l’Italia la prospettiva è quella di chiedere con forza chiede con forza “un portafoglio pesante e un vicepresidente della Commissione”.
Ci riuscirà? Tutto dipende dal ruolo di Giorgia Meloni che Repubblica dipinge in un retroscena come “furiosa” con Macron e Scholz per le critiche ricevute al G7 ma allo stesso tempo battagliera. “Se pensano di isolarmi, sbagliano di grosso” è il virgolettato che le attribuiscono Tommaso Ciriaco, Emanuele Lauria. Con il fantasma dell’esito delle elezioni francesi del 30 giugno gli scenari possibili sono diversi e così il quotidiano di Maurizio Molinari attovaglia i desiderata del nostro governo. “La premier potrebbe pretendere un commissario ad hoc per i flussi migratori – scrivono i due retroscenisti – Vorrebbe affidarlo a Elisabetta Belloni, che da capo del Dis ha gestito il G7 come sherpa, proponendola per un commissariato ad hoc che si occupi dei flussi migratori. Da creare per l’occasione. Piano B: un commissario influente sul fronte economico. Un nome in pole è sempre quello di Raffaele Fitto, ma è possibile mandarlo a Bruxelles rinunciando al suo contributo da ministro sul Pnrr? Difficile, anche se l’ipotesi resta sul tavolo. L’altro sogno è la Concorrenza, decisiva per le procedure di infrazione, a partire dai balneari. Ma è complesso immaginare che l’Europa consegni questo dossier a Roma. Più facile che conceda il mercato interno, da affidare a un profilo tecnico. Si è parlato dell’ex ministro Daniele Franco (che era il candidato di Roma per la Bei), ma qualche possibilità in più l’avrebbe Roberto Cingolani, che dovrebbe però lasciare la guida di Leonardo”.
L’importante, spiega Flavia Perina editorialista de La Stampa e un tempo direttrice del Secolo d’Italia, è capire però che “Giorgia Meloni non è l’estrema destra” e che “escluderla non conviene all’Europa”. Perché? “Meloni ha dato vita in Italia al governo più netto nell’appoggio all’Ucraina dopo l’invasione russa, di sicuro più assertivo della posizione tedesca e dello stesso Scholz”. E per la Perina ha superato anche l’esame di affidabilità economica con buoni voti “visto il brusco stop che la premier ha dato ai fantasmagorici progetti debitori della campagna elettorale, quota cento, abolizione delle accise, fine del canone Rai”. E infine quello di affidabilità democratica: “la destra ha le sue idee piuttosto reazionarie sui diritti, ma la deriva orbaniana finora si è vista solo a parole, nei tic verbali sul tema dell’aborto o della tutela delle minoranze.”
Se i giochi quindi sono aperti e l’Italia potrebbe far pesare il suo ruolo spicca nella “giornata delle nomine” l’intervista a tutta pagina sul Fatto Quotidiano a Giuseppe Conte il grande perdente delle elezioni europee con il suo movimento che è sceso al 10%. “Non moriremo – dice – la sconfitta è mia ma non mollo” e tira fuori ancora una volta i complotti subiti con il suo allontanamento da Palazzo Chigi a favore di Mario Draghi e con la linea dei 5S che non è stata chiara: “entrare nel governo tecnico ha generato confusione”.