Tempesta in un bicchier d'acqua sulle parole del ministro Giorgetti sulla revisione e l'aggiornamento delle…
Quali sono le reali intenzioni di Letta?
La paura del Vietnam parlamentare in edizione nazarena, o lettiana. I Graffi di Francesco Damato
Per una volta il segretario del Pd Enrico Letta, dicono perché incoraggiato da un sondaggio che ha attribuito al suo partito più del 20 per cento dei voti, portandolo davvero in testa alla classifica dell’immaginario campionato elettorale permanente che si gioca abitualmente in Italia, ha rinunciato al solito gioco del cantone in cui sbattere lo sgradito di turno, da Matteo Salvini a Matteo Renzi. Ed ha proposto a Mario Draghi di convocare un vertice della maggioranza per un accordo blindato sul percorso parlamentare del bilancio. Che peraltro è già in ritardo pure quest’anno e puzza un po’ di “guerriglia vietnamita”.
Anche se l’intenzione di Enrico Letta sembra essere quella di lasciare fuori dal vertice sui conti il problema della successione a Sergio Mattarella al Quirinale per affrontarlo subito dopo, in omaggio alla “moratoria” da lui stesso proposta ma largamente disattesa dal dibattito che si svolge sul tema dentro e fra i partiti, senza che i giornali abbiano bisogno di inventarsi nulla; anche se -ripeto- l’intenzione di Letta sembra diversa, nessuno può escludere che nel vertice qualcuno sollevi lo stesso il tema presidenziale. E magari solo per blindare davvero un’intesa sui conti, dando peraltro all’astutissimo Draghi -come qualcuno mostra di temere, a cominciare dal ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio, che non rinuncia mai a qualche postilla mediatica dopo ogni dichiarazione del nuovo presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte- l’occasione di considerare concluso con l’approvazione del bilancio e col già impostato piano della ripresa il compito dello specialissimo governo di emergenza affidatogli a febbraio.
Le dimissioni di Draghi consentirebbero da una parte al presidente uscente della Repubblica di sciogliere lui stesso il nodo della successione a Palazzo Chigi, promuovendo a presidente del Consiglio per ragioni di continuità il Ministro draghianissimo dell’Economia Daniele Franco, e dall’altra al medesimo Draghi di partecipare più liberamente alla corsa al Quirinale. Cui egli è stato ormai iscritto d’ufficio da tutti per il suo indiscusso prestigio internazionale, cresciuto ulteriormente con le prestazioni date a Palazzo Chigi.
Peraltro l’eventuale governo Franco, con la paternità nel frattempo assunta dal capo uscente dello Stato ancora sprovvisto di alternative per l’inagibilità costituzionale dello scioglimento anticipato delle Camere nel cosiddetto semestre bianco, sarebbe messo al riparo da ogni contraccolpo di una fallita o mancata candidatura al Quirinale di Draghi. Al quale potrebbero d’altronde aprirsi ben altre prospettive, forse anche più congeniali alla caratura ormai europea e, più in generale, internazionale della sua figura. Che non dipende certo dallo spritz che beve al bar: al Campari, come lui ha appena rivelato puntigliosamente, o all’aperol che il barman sotto casa, a Rona, ha rivelato di avergli già servito tante volte immaginandoselo già al Quirinale per una previsione sfuggita alla “improvvida” consorte del premier: improvvida come ai tempi della lontana Prima Repubblica Amintore Fanfani definì la pur amatissima prima moglie Bianca Rosa. Che in una intervista al Borghese procurò al marito ministro degli Esteri un bel po’ di imbarazzanti problemi con gli alleati americani e col presidente del Consiglio Aldo Moro per i progetti di pace che coltivava con l’amico sindaco di Firenze Giorgio La Pira per il Vietnam dilaniato dalla guerra. Dove lo stesso La Pira si era spinto in missione nell’autunno del 1965 col mite professore di matematica Mario Primicerio.