skip to Main Content

Quella domanda sul Colle che imbarazza Draghi

Draghi Colle

I Graffi di Damato. Draghi in trincea, ma non tanto difensiva, a Palazzo Chigi

Più le difficoltà dei partiti che la compongono intorpidiscono le acque della maggioranza -a cominciare dalla Lega che “scarroccia”, come titola brillantemente il manifesto, per continuare con Giuseppe Conte sotto le cinque stelle che minaccia querele a chi scrive del suo cosiddetto cerchio magico più o meno affaristico e aspetta anche lui con una certa apprensione i risultati delle elezioni amministrative di domenica e lunedì- più Mario Draghi cerca di proteggere il governo dai rischi di logoramento a suo modo, col suo stile, con la sua concretezza. A Palazzo Chigi si mescolano annunci e decisioni che il presidente del Consiglio illustra personalmente perseguendo solo l’”efficienza” del governo che guida. I cui risultati da soli possono vanificare ogni progetto di crisi.

Fra gli annunci di Draghi c’è stato nelle ultime ore quello della sessione straordinaria del G20, da lui fortemente voluta sulla crisi afghana e che si svolgerà il 12 ottobre, fra i due turni delle elezioni amministrative. I partiti della sua composita maggioranza si contenderanno nei ballottaggi le città e lui, il presidente del Consiglio, garantirà autorevolmente un ruolo certo non marginale dell’Italia in campo internazionale. Ditemi se è poco.

L’unica cosa sulla quale penso che Draghi stia sbagliando, non so se più per ingenuità o per eccesso di furbizia, o machiavellismo, come preferite, è il tentativo ricorrente di esorcizzare la scadenza del Quirinale facendone solo o soprattutto una questione di galateo, cioè dicendo che è da maleducati parlare della successione di Sergio Mattarella mentre egli è ancora in carica e svolge in pieno il suo mandato, come dimostrano gli eventi ai quali partecipa e i messaggi, anche politici, che manda a destra e a sinistra con i suoi interventi prevalentemente immersi nell’attualità politica.

Purtroppo, almeno per il galateo politico come lo intende Draghi, la scadenza è nelle cose. La stessa natura esclusiva di collegio elettorale assegnata dalla Costituzione alle Camere riunite in seduta comune per questo adempimento istituzionale, con la partecipazione dei delegati regionali e senza possibilità di dibattito su candidature, programmi e simili, rende inevitabile un confronto politico già prima, in una sede estranea al Parlamento, e senza riguardo -aggiungerei- per nessuno, neppure per il capo dello Stato uscente, tentato o no che sia da una rielezione o conferma per niente esclusa dalla Costituzione. Bisogna che a questa realtà, consolidata in più di 70 anni di storia repubblicana, si rassegnino tutti.

D’altronde, neppure Draghi è riuscito a restare fuori dalla contesa, avendolo apertamente proposto al Quirinale, senza alcuna sua reazione, non due passanti, o due editorialisti di altrettanti giornali autorevoli, ma due ministri come Giancarlo Giorgetti, capo addirittura della delegazione leghista al governo, e Renato Brunetta di Forza Italia. Lo ha ricordato oggi giustamente al presidente del Consiglio sul Giornale della famiglia Berlusconi il mio amico e direttore Augusto Minzolini, vedendo -non so se altrettanto giustamente- una certa disponibilità di Draghi al trasloco da Palazzo Chigi in una partita da “terno al lotto”. E con un altro candidato, non so se più ombra o di bandiera, come lo stesso Berlusconi, che ne ha persino scherzato -solo scherzato?- escludendo che un Draghi al Quirinale possa mandare a Palazzo Chigi, prevedibilmente dopo le elezioni, i due candidati del centrodestra che si contendono la guida del governo: Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Che spettacolo, ragazzi.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top