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Quirinale, le ultime mosse di Berlusconi: lascia o raddoppia?

Silvio Berlusconi

I Graffi di Francesco Damato

E’ nemesi storica, ormai, anche per Silvio Berlusconi, non solo per Beppe Grillo alle prese con i magistrati di Milano che lo accusano di traffico d’influenze, come un qualsiasi e volgare tangentista di una trentina d’anni fa colto più o meno con le mani nel sacco del finanziamento illegale dei partiti. Che era allora il reato attraverso il quale le Procure cercavano di arrivare alle accuse ancora più gravi di corruzione, concussione e altro.

Ora Berlusconi, con le esitazioni sulla strada della rinuncia alla corsa al Quirinale, che danno ormai per scontata gli insospettabili Augusto Minzolini sul Giornale di famiglia e Alessandro Sallusti su Libero, il primo garantendo che l’ex presidente del Consiglio non perde di vista “l’interesse del Paese” e il secondo che “”non è un kamikaze”, sta alimentando quello che una volta definiva sprezzantemente “il teatrino della politica”. In cui ognuno sceglie la parte che preferisce cambiandola quando non gli piace o non gli conviene più.

Sulla prima pagina del Corriere della Sera Francesco Verderami riferendo di ciò che dicono “le personalità più vicine” al Cavaliere, dallo stesso giornalista frequentate e intervistate con una certa amichevole abitudine, gli ha attribuito come “parole d’ordine”, pur in questa vigilia di resa, le parole “resistere, resistere, resistere”. Sono paradossalmente le stesse usate contro Berlusconi tanti anni fa dal Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano ed ex capo della Procura di primo grado Francesco Saverio Borrelli.

Ma resistere, nel caso di Berlusconi di questi giorni o di queste ore, mentre scrivo, contro chi? Paradossalmente anche contro i suoi alleati di centrodestra. Che, insofferenti nell’attesa della sua rinuncia, incontrano in pubblico e in privato gli esponenti più diversi degli altri schieramenti ed elaborano piani quirinalizi che coprono ormai l’intero alfabeto, dalla A alla Z, come ha descritto nel modo al solito imperdibile Mattia Feltri sulla Stampa.

Mentre crescono, secondo i casi, l’attivismo e la rassegnazione alla candidatura di Mario Draghi al Quirinale, come raccontano rispettivamente con i loro titoli Il Foglio e Domani, ai giornali d’area del centrodestra o comunque simpatizzanti del Cavaliere rimane la ben magra soddisfazione, secondo me, di unirsi al solito Marco Travaglio dell’altrettanto solito Fatto Quotidiano nella rappresentazione peggiore possibile del presidente del Consiglio in carica. Che pure, stando alle ultime notizie raccolte e raccontate da Vittorio Sgarbi, anche Berlusconi sarebbe ora tentato di preferire a tutte le altre soluzioni, compreso il cosiddetto Mattarella bis attribuitogli dallo stesso Sgarbi qualche giorno fa parlandone alla Stampa.

“Draghi prepara la grande fuga dal governo”, ha titolato Libero su sfondo azzurro un pò scuro, sbertucciando nelle cronache le trattative più o meno in corso dietro le quinte su chi dovrà sostituirlo a Palazzo Chigi e con quali nuovi ministri politici al posto di qualcuno almeno dei tecnici nominati l’anno scorso. Eppure è difficile dare torto ad Angelo Panebianco, che nell’editoriale odierno del Corriere della Sera si è chiesto “perché alcuni auspicano e altri (a occhio, molti di più) che, una volta eletto il presidente della Repubblica, il governo Draghi lasci il posto -con o senza elezioni anticipate- a un altro governo questa volta totalmente controllato dai partiti?”. “All’apparenza -ha insistito impietosamente il professore- non ci sarebbe niente di male: non è forse la regola in democrazia?”. In realtà, siamo sempre alle prese col teatrino della politica una volta lamentato da Berlusconi, prima che, intabarrato in quello strano cappotto scuro di dimensioni da nomenclatura una volta sovietica, vi partecipasse pure lui anche per il resto, e non solo per la corsa al Quirinale.

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