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La raffineria di Priolo è al sicuro (dopo la vendita di Lukoil)?

Italia Bulgaria Raffineria Lukoil

Italia e Bulgaria legate dall’affaire petrolifero: fatti, numeri e scenari nell’articolo di Antonino Neri

 La Bulgaria potrà assumere la gestione della raffineria Neftochim Burgas, di proprietà della compagnia russa Lukoil, per un massimo di un anno. Lo hanno deciso oggi i parlamentari in una votazione volta a proteggere le infrastrutture critiche e garantire l’approvvigionamento di carburante del Paese balcanico.

La raffineria da 196.000 barili al giorno – il più grande produttore di carburante in Bulgaria – è passata a lavorare solo greggio russo, dopo che alla Bulgaria è stata concessa un’esenzione dal divieto dell’Unione europea sulle importazioni di petrolio russo a seguito dell’invasione dell’Ucraina.

In base all’esenzione fino alla fine del 2024, la raffineria dal 5 febbraio non potrà esportare combustibili o prodotti petroliferi, ad eccezione delle consegne in Ucraina. La raffineria potrà esportare anche sottoprodotti che non possono essere stoccati in modo sicuro in Bulgaria e che potrebbero costituire un pericolo per l’ambiente. Lukoil Neftochim in precedenza ha affermato che potrebbe essere costretta a chiudere, se non potrà esportare la sua produzione.

In base alle modifiche legali della Bulgaria, approvate con 141 voti contro 24, il ministro dell’Economia potrà nominare un rappresentante commerciale speciale per assumere il controllo operativo della raffineria, in caso di minacce alla sicurezza nazionale o alla fornitura di risorse critiche. “Le modifiche legali renderanno la Bulgaria un Paese forte e adeguato, che potrà intervenire se si verificasse una situazione critica”, ha affermato Martin Dimitrov, membro del partito Bulgaria democratica. Un rappresentante speciale potrà essere nominato anche nel caso in cui la raffineria violi le regole della concorrenza o le sanzioni dell’Unione europea.

I LEGAMI ITALIA-BULGARIA SU LUKOIL

Lunedì scorso Lukoil ha annunciato di aver venduto la raffineria ISAB di Priolo Gargallo, in Sicilia, alla società cipriota di private equity GOI Energy, legata al fondo Argus New Energy.

La notizia ha smentito quindi le previsioni che davano quasi per certa l’acquisizione da parte del fondo americano Crossbridge. Un’acquisizione su cui, secondo l’agenzia Reuters, ha influito il prezzo: i ciprioti avrebbero offerto 1,5 miliardi di euro, gli americani nettamente meno.

CHI HA COMPRATO LA RAFFINERIA ISAB

Ma chi sono i nuovi possibili proprietari dell’ISAB? GOI Energy è una divisione del fondo di private equity Argus New Energy Group che, pur avendo sede a Cipro, viene sostenuto soprattutto da investitori israeliani. L’uomo chiave si chiama Michael Bobrov che, oltre ad essere l’amministratore delegato di GOI, è anche Ceo della società israeliana di carburanti Green Oil, che a sua volta possiede una grossa quota di Bazan Group, la compagnia che, nella baia di Haifa, gestisce la più grande raffineria di Israele.

“Siamo molto consapevoli dell’importanza di ISAB per l’economia italiana, per la Sicilia e per la comunità locale”, ha dichiarato Bobrov. “Crediamo fermamente che ISAB abbia un potenziale di sviluppo importante e abbiamo un solido piano aziendale per valorizzarlo. In stretta collaborazione con il governo italiano, siamo ottimisti sul fatto che l’operazione sarà completata con successo”.

Sull’intesa con l’esecutivo, però, il rapporto è ancora da costruire. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, infatti, in un’intervista al Corriere della Sera ha affermato che “l’operazione dovrà seguire le usuali procedure inerenti alle normative antitrust e golden power e rispondere appieno ai requisiti in termini di produzione, occupazione e rispetto ambientale. Saranno importanti anche gli impegni richiesti sul piano della riconversione green del sito produttivo e del suo rilancio industriale”.

I ciprioti dovranno quindi ottenere la fiducia dell’Italia, visto che già il governo si era impegnato nella vicenda mettendo l’ISAB in amministrazione fiduciaria temporanea. Di sicuro l’intera operazione darà maggiori sicurezze ai lavoratori della raffineria siciliana.

GLI ALTRI PROTAGONISTI (OLTRE ITALIA E BULGARIA)

GOI però non sarebbe l’unica interessata ad acquisire l’ISAB: oltre, come detto, al fondo statunitense Crossbridge, sul dossier ci sarebbe anche il trader svizzero Gunvor. Nonostante l’accordo tra Lukoil e GOI, infatti, nessuna delle altre due società considera la partita chiusa. Gunvor, oltre ad operare come trader, è proprietaria della raffineria tedesca di Ingolstadt – che si collega all’Italia nei pressi di Trieste, attraverso l’oleodotto Tal – della raffineria olandese Gunvor Petroleum di Rotterdam, della raffineria Gunvor Petroleum Antwerp di Anversa, del terminal petrolifero Stargate di Rotterdam e degli impianti di produzione di biodiesel di Berantevilla e Huelva, in Spagna.

Ecco perché Gunvor punta forte sull’acquisto dell’ISAB e vuole presidiare ancora il dossier. I vertici della società avrebbero già in programma una visita istituzionale in Italia tra un paio di settimane. La partita per la vendita di ISAB, quindi, oggi più che mai è nelle mani del governo.

QUANTO CONTA LA RAFFINERIA SICILIANA

Con un migliaio di dipendenti, l’ISAB è una delle raffinerie più grandi d’Europa. Soddisfa il 20% della domanda siciliana di elettricità e da sola vale oltre un quinto della capacità di raffinazione italiana. La raffineria siracusana è poi uno dei principali pilastri dell’export della Sicilia e, considerando l’indotto, dà lavoro ad oltre 8.000 persone.

Le vicende di politica internazionale avevano messo in pericolo l’azienda. L’ISAB infatti pagava a caro prezzo il fatto di appartenere ad un’azienda russa perché, pur non essendo sanzionata, le banche preferivano non impegnarsi con soggetti legati a Mosca, non fornendo fondi per acquistare petrolio. La raffineria era arrivata così a dipendere dalla Russia per oltre il 90% della materia prima.

Con l’entrata in vigore, lo scorso 5 dicembre, del divieto europeo all’acquisto di greggio russo trasportato via mare, la situazione rischiava di precipitare. Allora, per sbloccarla senza compromettere la produzione e l’occupazione, vi erano due possibilità: nazionalizzarla oppure venderla ad un soggetto privato non russo, permettendole così di tornare a ricevere prestiti dagli istituti di credito.

 

(Articolo pubblicato su Energia Oltre)

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