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Razov russa male

Razov

I Graffi di Damato

 

Non ha niente di diplomatico quella foto dell’ambasciatore della Russia in Italia, Sergey Razov, lanciatosi appunto come un razzo sulla Città Giudiziaria romana per fare la sua brava denuncia alla Procura della Repubblica ed esibirsi poi davanti ai fotografi contro i giornali italiani, citando soprattutto La Stampa, che starebbero dando false informazioni sulla guerra condotta dal suo Paese contro l’Ucraina. E aggiungendo, fra l’altro, che le forniture militari trasparentemente in corso da parte del governo italiano agli ucraini aggrediti sono finalizzate ad una sostanziale partecipazione alla guerra, anzi ad un genocidio. Che non sarebbe quello dei russi contro gli ucraini, ma viceversa.

Va bene che in Italia siamo passati da molto tempo, e per colpa esclusiva dei partiti via via votati dalla gente e mandati al governo, dal sistema delle Procure della Repubblica, dove si vanno a denunciare reati e si conducono indagini, a quello della Repubblica delle Procure. Alle quali attori politici di ogni tipo, ora anche ambasciatori di  grandi potenze, vanno a rimettere le loro lotte, beghe, liti e quant’altro per togliere la parola al governo, oltre che agli elettori, e passarla ai magistrati. Ma che si potesse arrivare alla sceneggiata di Razov davanti alla Città Giudiziaria capitolina  era francamente difficile immaginarlo.

E bravo il signor ambasciatore, che questa volta però ha deciso con la sua sfrontatezza di portare pena, così diverso da certi suoi predecessori, tipo quelli dei tempi dell’Unione Sovietica. I quali se ne stavano abitualmente chiusi nelle loro residenze. O andavano con tutta la riservatezza del caso nelle abitazioni di interlocutori più o meno qualificati, come una volta un direttore generale democristiano della Rai, per concordare pressioni e simili sull’allora partito comunista più forte dell’Occidente perché i suoi parlamentari dessero qualche mano, o piede, ad un certo candidato dello scudo crociato al Quirinale.

Gli interlocutori ordinari, e palesi, di un ambasciatore  sono il capo dello Stato presso il quale egli è formalmente accreditato, il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e via via , scendendo la scala gerarchica, gli altri membri del governo, o sottogoverno.  Ce ne sarebbe abbastanza, ad occhio e croce, perché qualcuno in alto intervenisse ben oltre le parole di dissenso già pronunciate, in particolare da Mario Draghi e da Luigi Di Maio, e non lasciasse sola La Stampa , fra l’altro, a difendersi con la bella vignetta a colori di Sergio Staino in prima pagina: “Vabbè, basta che non ci bombardi”, come Putin continua a fare in Ucraina riducendola in macerie.

La cosiddetta immunità diplomatica, pur sopravvissuta in Italia addirittura a quella parlamentare decimata ai tempi di “Mani pulite”, quando le Procure assunsero il comando della politica, va pur essa svolta con una certa misura, specie di giorno. Gli ambasciatori non possono unirsi e confondersi così disinvoltamente coi politici abituatisi a cercare il magistrato conveniente alla propria causa, fosse pure una guerra, e di sterminio.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

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