Due fronti per il No (uno “istituzionale” e uno “sociale”), diversi comitati per il Sì: inizia a delinearsi la griglia di chi si schiererà a sostegno e contro la riforma delle carriere in magistratura. Ecco chi saranno i frontman dell’uno e dell’altro schieramento
Dopo il lancio dei comitati istituzionali – da un lato quello dell’Anm presieduto da Enrico Grosso, dall’altro quello dell’Unione Camere Penali guidato da Gian Domenico Caiazza – a destra e a sinistra si lavora sommessamente ai comitati che dovranno dare slancio alla battaglia politica in vista del voto referendario sulla riforma delle carriere in magistratura.
Il nodo per entrambi gli schieramenti è dosare il proprio coinvolgimento diretto nella campagna, per non incorrere in sgradevoli sorprese: fondamentale allora l’individuazione di un frontman vicino ma non organico ai partiti, carismatico se possibile, ben radicato nel sì o nel no, a seconda dei casi.
LA PAURA DEL REFERENDUM PERSONALISTICO
A destra il diktat è proteggere Giorgia Meloni dal rischio di un dibattito polarizzato. Per questo si cerca a una figura di area che possa fare da frontman del movimento per il sì, ma che non sia ricondicibile ai partiti. Fa eccezione Forza Italia, che vede nella riforma una battaglia identitaria di berlusconiana memoria, tanto da aver già affidato al vicepresidente della Camera Giorgio Mulè il compito di coordinare la campagna azzurra per il sì.
Paradossalmente è la sinistra, che pure avrebbe l’occasione di ritorcere il referendum contro il governo, ad avere maggiori perplessità. Oltre ad Azione e Italia Viva, la questione riguarda innanzitutto il Partito Democratico, dal momento che Avs e M5S a dirsi convinti oppositori della riforma. La forza trainante della coalizione è divisa al suo interno, e sono diversi e autorevoli i nomi già schieratisi con il sì. Per questo anche Elly Schlein vuole evitare una battaglia personalistica che, in caso di sconfitta, la esporrebbe alle critiche dell’ala riformista.
IL COMITATO UNICO PER IL SÌ: IL SOGNO È CASSESE, IL PIANO B SALLUSTI
Così, per mettere ordine e capitalizzare il consenso, i partiti della maggioranza hanno deciso di promuovere un comitato unico per il Sì. Come scriveva Il Foglio pochi giorni fa, il sogno sarebbe quello di affidare la presidenza a un testimonial del calibro di Sabino Cassese o Nicolò Zanon, ma entrambi non sarebbero intenzionati a esporsi.
Per questo si fa strada l’ipotesi di affidarne la guida ad Alessandro Sallusti, che ha da poco concluso la sua esperienza al Giornale ed è un veterano del dibattito sulle storture della magistratura, al quale peraltro ha dedicato il bestseller Il sistema.
NUOVO COMITATO DEL NO: BACHELET PRESIDENTE, DENTRO ANCHE ROSY BINDI
Sull’altro fronte regna invece la cautela. Fino a pochi giorni fa l’unica realtà di peso ufficialmente in campo per il no era l’Associazione Nazionale Magistrati. che ha costituito un comitato, affidandone la presidenza a Enrico Grosso.
Alla fine hanno avuto la meglio i timori interni al Pd: pur entrando nel coordinamento del nuovo comitato costituito da La Via Maestra – un contenitore di oltre cento sigle, tra cui Cgil, Libera e Acli, che aveva già guidato la campagna per il referendum sul Jobs Act – non sarà un membro del partito la figura di riferimento.
La presidenza del comitato verrà affidata a Giovanni Bachelet, fisico ed ex parlamentare, figlio del giurista assassinato dalle Brigate Rosse, mentre tra i volti di punta ci sarà anche Rosy Bindi, che inevitabilmente diventerà l’ufficiale di collegamento coi partiti. L’ex deputata però non è mai rientrata nei ranghi del Pd dal 2021, quando fuoriuscì in dissenso con la linea della segreteria dem. Da sempre prodiana, sui temi del referendum è possibile che trovi maggiore supporto dal M5S che non dai suoi ex compagni di partito, più orientati verso il sì.

