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Cosa cambia dopo il referendum sul taglio dei parlamentari

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Il Sì al referendum conferma il taglio del numero dei parlamentari, ma dalla prossima legislatura. Intanto, è richiesta la modifica dei collegi e si discute di una nuova legge elettorale

La netta vittoria del Sì (oltre il 69% dei voti) al referendum sul taglio del numero dei parlamentari prevederà, a partire dalla prossima legislatura, la riduzione di un terzo dei seggi alla Camera e al Senato: il numero dei deputati passerà così da 630 a 400, mentre quello dei senatori da 315 a 200.

La riforma costituzionale approvata dal Parlamento circa un anno fa, e ora confermata direttamente dagli elettori tramite il referendum, porterà ad una sostanziosa diminuzione del numero di rappresentanti per abitante. Dalla prossima legislatura ci sarà infatti un deputato ogni 151mila abitanti e un senatore ogni 302: un taglio notevole rispetto ai livelli attuali – un deputato ogni 96mila abitanti e un senatore ogni 188mila -, ma che tutto sommato manterrà l’Italia nella media europea per rappresentatività.

I COLLEGI ELETTORALI

Se è vero che il nuovo assetto del Parlamento interesserà la nuova legislatura e non quella attuale, è altrettanto vero che i tagli non saranno operativi nel caso (pur improbabile) di elezioni immediate. Come spiega Renato Benedetto sul Corriere della Sera, infatti, “la norma dà 60 giorni di tempo al governo per ridisegnare i collegi. Un passaggio tecnico necessario”.

Entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della riforma costituzionale, cioè, il governo dovrà modificare i collegi elettorali. Potrebbe farlo approvando una nuova legge elettorale, come peraltro richiesto dal Partito Democratico, ma non è obbligatorio: Benedetto scrive che “si potrebbe già votare col Rosatellum oggi in vigore”. Se non dovesse venire approvata una nuova legge elettorale, infatti, quella attuale verrebbe integrata da una norma specifica che prevede la riduzione dei tre ottavi dei collegi attuali.

LA LEGGE ELETTORALE

Pur non essendo vincolante, la legge elettorale è comunque “la prima cosa da fare dopo il Sì” al referendum, scrive Benedetto. Il cosiddetto “Germanicum” – già adottato dalla commissione Affari costituzionali della Camera il 10 settembre scorso – prevede un sistema proporzionale con sbarramento al 5%. È sostenuto dal PD e dal Movimento 5 Stelle, ma non da tutto il centrosinistra (Liberi e Uguali e Italia Viva non hanno dato l’appoggio) e nemmeno dal centrodestra, che preferirebbe un sistema maggioritario.

Specialmente per il PD, però, il proporzionale non è negoziabile perché permetterebbe di compensare gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari. Il problema, per così dire, riguarda soprattutto il Senato, che è eletto su base regionale.

Con le sole eccezioni di Trento e di Bolzano, adesso il numero di senatori per regione scenderà da sette a tre. E “dove i posti in palio sono pochi” – spiega Benedetto – “restano fuori partiti con percentuali anche a due cifre”. Ad esempio in Umbria, in Basilicata o in Abruzzo.

UNA NUOVA RIFORMA COSTITUZIONALE?

Proprio per allargare la rappresentanza, le forze politiche stanno discutendo di una riforma costituzionale “compensativa” che prevede che il Senato non venga più eletto su base regionale.

Un’altra riforma riguarda l’abbassamento dell’età minima per votare per l’elezione del Senato a 18 anni (attualmente è di 25 anni). L’ultima, infine, ha a che vedere con la riduzione del numero dei delegati regionali, per adeguarne il numero a quello di deputati e senatori.

I SENATORI A VITA

La riforma costituzionale cambierà anche il numero dei senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica, che non potranno essere più di cinque.

QUANTO SI RISPARMIA CON IL TAGLIO

L’Osservatorio dei conti pubblici italiani (CPI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, diretto da Carlo Cottarelli, sostiene che la riforma permetterà un risparmio annuo di 57 milioni: vale a dire lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana; il costo di una tazzina di caffè all’anno per ciascun cittadino.

È una cifra di molto inferiore a quella presentata da alcuni esponenti del M5S, che parlavano di risparmi per 500 milioni a legislatura.

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