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Salvini e Conte, a caccia di voti, renderanno la vita difficile a Draghi

Conte Movimento 5 Stelle Lega

I Graffi di Damato

Il siparietto politico di giornata è naturalmente quello del Senato, dove il governo è stato sollecitato dal segretario del Pd a mettere la fiducia sulla riforma Cartabia della giustizia, limitata ma ora a rischio di bocciatura per dispetto, a causa delle resistenze opposte dai leghisti e dai renziani, ma anche da una parte dei forzisti, dopo la scoppola referendaria di domenica. E’ una ritorsione francamente sconcertante anche per l’avallo fornito a Matteo Salvini su questa strada da una professionista del settore, chiamiamola così. Che è naturalmente la senatrice, avvocato e già ministra, sia pure non della Giustizia, Giulia Buongiorno.

Ma la partita più grossa dopo il primo turno di elezioni amministrative, nel quale tutti i partiti hanno potuto misurare le loro forze in un migliaio di Comuni, è quella ormai apertasi fra Salvini e Giuseppe Conte, i grandi o maggiori sconfitti per i voti che hanno perduto e le loro ridotte capacità contrattuali all’interno delle coalizioni cui ancora appartengono formalmente: il centrodestra e il cosiddetto campo largo -o camposanto, come dicono i più critici- dei presunti progressisti. Di cui Enrico Letta è tornato a parlare ieri sera dopo avere omesso di citarlo in mattinata aprendo il cuore dei suoi critici, nel Pd, a qualche speranza di ravvedimento.

Ora i due sconfitti -ripeto, Matteo Salvini e Giuseppe Conte- si inseguono sulla strada quanto meno del disimpegno dal governo, nella speranza di riprendere un pò della forza perduta, a loro avviso, per l’impopolare appoggio -si fa per dire- a Draghi. Che tuttavia nella valutazione internazionale, ma anche nei sondaggi interni, risulta molto più popolare, o meno impopolare di loro, pur con tutte le grane di cui si occupa, compresa la guerra in Ucraina. Dove peraltro egli sta per andare in missione europea per sostenerne la richiesta di adesione all’Unione, utile anche a salvaguardarne la sopravvivenza dopo l’aggressione russa.

“A settembre valuterò” la sorte dei rapporti con Draghi, ha detto Salvini nella rappresentazione del Corriere della Sera pensando al raduno autunnale di Pontida, dove la Lega ha sempre dato il meglio o il peggio di sé, secondo i gusti, dai tempi di Umberto Bossi. “Lo strappo di Salvini”, ha annunciato su tutta la prima pagina la Repubblica, come una volta si titolava sulla buonanima di Enrico Berlinguer nei rapporti con l’Unione Sovietica.

“Ce lo chiedono i cittadini”, ha detto Giuseppe Conte parlando della possibilità di rompere pure lui con Draghi, secondo la rappresentazione della Stampa. Ma più prudentemente, essendo anche lui uomo di mondo, un “doroteo” dei nostri tempi di memoria democristiana, un ammiratore dell’ex presidente del Consiglio come Marco Travaglio gli ha suggerito sul Fatto Quotidiano di tirare fuori il Movimento 5 Stelle solo dal governo, non anche dalla maggioranza. E ciò giusto per togliersi il gusto, forse, di vedere in qualche difficoltà l’ormai odiato ultradraghiano ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che per restare alla Farnesina, dove si è fatta una certa competenza e comunque gli piace ormai lavorare, dovrebbe uscire dal partito, o da quel che ne rimane dopo la presidenza di Conte, e nel silenzio quanto meno imbarazzato del garante Beppe Grillo.

Se Travaglio dà consigli ai grillini, Giuliano Ferrara, sul Foglio ne dà alla sempre più emergente Giorgia Meloni nel centrodestra, ormai lanciata verso la candidatura a Palazzo Chigi in caso di sopravvivenza e vittoria elettorale della coalizione. L’ex ministra di Berlusconi deve imparare ad essere -le ha consigliato Ferrara- “più endorfinica che dopaminica”. Ma, fortunatamente impietosito dei suoi lettori, le ha raccomandato più terra terra, nello stesso titolo discorsivo, di “trasmettere anche serenità ed equilibrio”, visto ciò che grida nelle piazze italiane e straniere.

 

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