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Scenari, ascensore sociale e divisioni Salvini-Meloni: cosa succede a 20 giorni dal voto. Parla Panarari

Scenari Panari

Chiacchierata con Massimiliano Panarari, sociologo e docente presso l’Università Mercatorum di Roma su scenari elettorali, sbarco social dei leader politici e divisioni e differenze tra Salvini e Meloni

A venti giorni dal voto gli scenari si consolidano. I partiti che si contendono il voto degli italiani provano a calare le ultime carte.

Ma quali sono i punti programmatici più caldi per l’elettorato e quali sono le strategie per raggiungere anche gli elettori più giovani?

Lo abbiamo chiesto al prof. Massimiliano Panarari, sociologo e docente presso l’Università Mercatorum di Roma nonché editorialista de “La Stampa”.

Secondo lei gli scenari tracciati dagli ultimi sondaggi (la coalizione del centrodestra a 47,3% e quella di centrosinistra al 28,5 30% e FdI stacca di più di due punti il PD) sono attendibili?

Questa è una domanda impossibile. Se i sondaggi fotografano questi scenari, quali strumenti attendibili abbiamo per immaginare degli scenari diversi? I sondaggi, come noto, possono sottostimare o sopravvalutare alcuni risultati, ma sono gli unici strumenti che abbiamo a disposizione.

Il terzo polo di Renzi e Calenda volveva candidarsi a fare da ago della bilancia, gli ultimi sondaggi non gli assegnano quel ruolo. Secondo lei in che modo può ritagliarsi uno spazio?

Dipende da un paio di scenari. Se la coesione del centrodestra dovesse presentare qualche problema come, tra l’altro, Calenda ha ripetutamente indicato, l’idea di Renew Italia è quella di spendere le sue fiches o nell’ipotesi di una formula di governo differente o cercando di condizionare alcuni provvedimenti. Il secondo scenario ha a che fare con quello che accadrà nel centrosinistra: quali equilibri verranno delineati con il voto, il destino del centrosinistra, la sua potenziale radicalizzazione, la prevalenza di gruppi dirigenti che continuano a guardare all’alleanza con il M5S come una prospettiva strategica, o, al contrario uno scenario nel quale fosse la componente più riformista a spuntarla. In quest’ultimo caso Renew Italia sarebbe un interlocutore. Questi sono due scenari diversi che ci raccontano di come sia difficile per il centrosinistra riuscire a tenere insieme tutto, ed è il grande problema del centrosinistra, quello che ha reso così difficile la costruzione di un’alleanza nel campo largo. E questo rende la competitività di centro sinistra molto azzoppata rispetto alla capacità formale del destra-centro di saldare delle alleanze.

Secondo lei quali sono i punti programmatici sui quali le due coalizioni potrebbero puntare per convincere gli elettori indecisi?

Io ho la sensazione che, in questa fase, nella visione dei gruppi dirigenti, i programmi siano poco decisivi per tante ragioni, a partire dalla velocità con cui si è entrati in campagna elettorale. È chiaro che ci sono due temi fondamentali che riguardano le preoccupazioni dei cittadini elettori. Uno ha a che fare con il caro energia, ovvero quali sono i provvedimenti che chi andrà al governo attuerà per permettere agli italiani di riscaldarsi quest’inverno. E l’altro riguarda più in generale la politica economica: la situazione occupazionale, l’inflazione, gli effetti che, nello scenario internazionale, causa l’innalzamento dei prezzi dei beni di consumo. Lo schieramento che riuscirà a offrire, almeno su questo piano, delle proposte convincenti avrà un asset da spendere in termini di costruzione del consenso.

Cosa manca secondo lei nei programmi elettorali?

Allora premettiamo che dare consigli ai partiti non è il mestiere di chi studia. Detto ciò c’è un tema di fondo: da tempo si è scavato un solco tra i cittadini elettori e le rappresentanze politiche. La mia sensazione è che ci sia una difficoltà, da parte dei partiti, a percepire quello che succede nel Paese o ad avere una conoscenza delle preoccupazioni quotidiane. Tra le priorità c’è prima di tutto la questione economica. Un paese nel quale i salari sono il fanalino di coda del sistema dei Paesi Ocse e in cui invece i profitti sono in aumento, solo per alcuni soggetti, è un Paese in cui c’è un grande problema di disuguaglianza sociale e di distribuzione della ricchezza. Per un verso i partiti dovrebbero trovare soluzioni per rimettere in movimento la produzione della ricchezza complessiva del paese e superare quelle tante questioni, dal lavoro alla scarsa produttività, che rendono la produzione di ricchezza problematica. A questo aggiungiamo il fenomeno dei working poor che l’Italia non conosceva e che in questi 15 anni è diventato molto evidente. Questa contingenza economica, che potrebbe prolungarsi molto, rischia di creare tensioni sociali gravi fino all’implosione di alcuni settori della società. Questi sono i problemi rispetto ai quali i partiti faticano a trovare delle ricette.

Non sono soluzioni semplici da trovare.

No, affatto. Però chi si candida dovrebbe avere una visione di politica industriale, questione totalmente negletta e sparita dai programmi dei partiti da un quarto di secolo, dovrebbe avere una visione generale delle politiche economiche e sociali che non procedono per bonus, regalie o sussidi ma richiedono di affrontare le disuguaglianze sociali in maniera decisa, strutturale. Il sostegno alla povertà è fondamentale ma ciò che è stato fatto non ha prodotto gli effetti sperati, nonostante i correttivi predisposti dal governo Draghi. Occorre ridurre lo iato tra partiti lontani e le situazioni sociali del Paese. La mia impressione è che anche la lettura della società nelle segreterie dei partiti sia un po’ spannometrica, non precisa e non riesca a individuare nella maniera dovuta le soluzioni necessarie.

I partiti sono stati accusati di non aver predisposto politiche per i più giovani, secondo lei quali sono le priorità?

I partiti devono avere una ricetta per la scuola e per il lavoro. Queste sono le due chiavi essenziali sulle quali si misura la presenza all’interno di una società di una persona. Eppure i partiti non riescono ad aggredire queste due questioni. Quando parliamo della scuola non intendiamo solo gli stipendi degli insegnanti, che vanno aumentati, ma ci sono una serie di altri provvedimenti di qualificazione della scuola che vanno fatte, la scuola va ripensata in un contesto complessivo.

Proprio per avvicinarsi ai più giovani diversi leader politici, da Renzi a Calenda a Berlusconi sono sbarcati su Tik Tok. Secondo lei era necessario, e poi è un buon modo per raccogliere il voto dei più giovani?

Sono sbarcati in maniera un po’ improvvisata e roboante. Questo ha generato ironia, fastidio, una serie di influencer ha tuonato che i politici devono uscire dai social. Da un lato c’è l’idea che bisogna esserci, anche perché ci sono le fasce anagrafiche più giovani e i nostri politici hanno iniziato a comunicare lì ma lo fanno in maniera improvvisata, godendo, però, di un effetto rimbalzo dal punto sui media mainstream. Questo social ha una finalità di intrattenimento, quindi il punto complicato è come veicolare un messaggio al di là del fingere un’operazione simpatia, verso la quale i più giovani hanno delle diffidenze naturali. La destra era già presente da qualche tempo, ha un vantaggio competitivo da questo punto di vista. Il nodo vero è come e cosa si comunica, quali sono le proposte per i giovani. Ho la sensazione che esista nelle giovani generazioni un’aspirazione alla radicalità mentre i partiti scontano un’assenza di radicalità e di visione complessiva. Questo riporta molti dei ragazzi e delle ragazze nella spirale del “non siamo presi in considerazione, non c’è un modello di società per noi”. Il punto è che il modello di società per i più giovani non può prescindere dalla scuola, dal lavoro, dalla loro formazione come cittadini.

E anche dalla riattivazione dell’ascensore sociale.

Esattamente. Una delle chiavi esplicative fondamentali dei populismi è il blocco dell’ascensore sociale. C’è anche da considerare che ci sono settori della società che non si sentono presi in considerazione dal dibattito pubblico e che hanno percepito una svalorizzazione di posizione sociale, ci sono temi che rimandano di rapporti tra i generi, alla dimensione delle minoranze entrate con forza nel dibattito pubblico, però, marxianamente, il nodo è sempre una questione strutturale che, in questo caso, è il blocco dell’ascensore sociale.

Secondo lei quanto possono durare insieme Salvini e la Meloni considerando che hanno entrambi l’ambizione della leadership del centrodestra e che ci sono terreni sui quali confliggono?

Lo scopriremo solo vivendo. È chiaro che una conflittualità c’è e che ha moltissime occasioni per riaccendersi, anche in considerazione del fatto che sono due leader giovani e quindi potremmo assistere a un duello se la destra – centro sarà la coalizione politica dominante nei prossimi anni. I due hanno molto tempo per confliggere e intensificare il loro scontro. Il punto è che il potere è un formidabile collante, anche la possibilità di trasformare un paese, orientarlo secondo la propria visione del mondo, corrispondere alle attese dei propri elettori. Tutti questi aspetti ci suggeriscono che i due potrebbero siglare una tregua destinata a funzionare. Non lo sappiamo. Certo è che ai fattori di conflitto si è aggiunto il posizionamento internazionale dell’Italia quindi i rapporti all’interno della Nato, la questione energetica e la relazione con Putin. Su questi punti le posizioni sono molto diverse e questo è un fattore importante per chi va al governo perché la politica internazionale è decisiva. Però la storia del centrodestra ci ha mostrato che, una volta arrivato al governo, ha una capacità di tenuta superiore al centrosinistra.

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