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Se la fiamma della Meloni finisce sulla Statua della Libertà
Il Corriere della Sera tra vignette e corsivi prende di mira i partiti di Giorgia Meloni e Elly Schlein. I Graffi di Damato
Conosco bene il diritto rivendicato dai vignettisti, e che in parte condivido, di considerare zone franche le loro creature. Ma conosco altrettanto bene, per una certa, lunga esperienza di vita nei giornali, che a volte esse sono commissionate. E altre volte, quando appaiono stonate, a dir poco, vengono sostituite con altre, magari suggerite all’autore segnalandogli qualche fatto o articolo di maggiore o uguale attualità presente sulla prima pagina. Perciò sono un po’ sobbalzato da vecchio lettore del Corriere della Sera nel vedere rimossa da Emilio Giannelli la fiaccola della celebre statua della Libertà a New York, che dal 1886 vorrebbe illuminare tutto il mondo, a vantaggio della fiamma che i lontani “fratelli d’Italia” di Gorgia Meloni hanno nel simbolo del loro partito, ereditata dall’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini e dal Movimento Sociale di Giorgio Almirante.
Cosi il Corriere della Sera –diretto da Luciano Fontana, ex capo redattore, se non ricordo male, dell’Unità dei tempi di Walter Veltroni, diventato a sua volta, e casualmente, un editorialista e collaboratore molto e giustamente apprezzato via via Solferino a Milano, certamente migliore o più riuscito del primo segretario del Pd- ha esportato a suo modo le polemiche che dal 7 gennaio, fra televisioni e giornali si sprecano in Italia sulle centinaia di persone, ormai di diverse generazioni, che da 45 anni si ritrovano a Roma davanti ad una ex sezione missina per ricordare a braccia levate le tre giovani vittime di un assalto armato e dei conseguenti disordini di quello stesso giorno del 1978.
I PARTITI DI MELONI E SCHLEIN NEL MIRINO DEL CORRIERE
Piuttosto che rilanciare queste polemiche salendo per i 93 metri del monumento statunitense- mi scusi il buon Fontana- avrei segnalato al vignettista il caffè quotidiano di Massimo Gramellini, destinato sempre alla prima pagina di oggi, di urticante commento alle condizioni del Pd di Elly Schlein. Che nel suo inseguimento a sinistra di Giuseppe Conte e delle sue 5 stelle sta organizzando una specie di conclave in un albergo, sempre a 5 stelle, di Gubbio e dei suoi ex poverelli.
“I tavoli di marmo riscaldato e le “docce emozionali” offerte dalla super spa di Gubbio -ha scritto Gramellini, senza spingersi al “Titanic” evocato da Libero– non sembrano i luoghi più credibili per discutere di accoglienza e salario minimo. Scegliendo un centro benessere, i democratici si illudevano forse di trasmettere un segnale di equilibrio e di cura. Passeranno invece per i soliti privilegiati, incomprensibili e lontani, con quella pretesa un po’ grottesca di predicare l’inclusività dal più esclusivo dei pulpiti”.
Ma a proposito delle braccia levate al Tuscolano segnalo il buon Giuliano Ferrara sul Foglio, che ha evocato Esopo per ricordare che gridando al lupo che non c’è si finisce per non accorgersi del lupo quando arriva davvero. O, sullo stesso Foglio, la “Patacca Larentia” di un “antifascismo tenorile” che “all’estero diventa propaganda putiniana”.