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Se neppure l’accorto Mantovano riesce a salvare la faccia alla premier
Le parole carpite alla premier italiana dai due comici russi rischiano di lasciare il segno a Kiev, mentre in Italia il goffo tentativo del sottosegretario Mantovano di difendere Meloni non sortisce effetto. I Graffi di Damato
Senza volere né potere scomodare il compianto Sem Benelli per la sua drammatica “cena delle beffe”, mi chiedo se e quando qualcuno saprà o vorrà raccontare come merita sul piano più umano che politico la beffa, appunto, subìta da Gorgia Meloni. Che parlando al telefono con due comici russi ha confidato la stanchezza procurata anche a lei dall’ormai troppo lunga guerra in Ucraina, compresa “la controffensiva” dell’aggredito Zelensky.
LE PAROLE DI GIORGIA MELONI E LE PREOCCUPAZIONI DI ZELENSKY
Il quale – racconta qualche giornale – a Kiev è rimasto molto deluso della delusione, a sua volta, della Meloni e avverte una certa paura di rimanere solo, dopo che peraltro la guerra nella più piccola Gaza, scatenata dopo il pogrom dei terroristi palestinesi di Hamas del 7 ottobre scorso, ha oggettivamente distratto l’attenzione dalla guerra ch’egli sta subendo da quasi due anni. E che qualcuno anche qui, in Italia, gli rimprovera di avere allungato e caricato di più morti resistendo con gli aiuti di un vasto fronte occidentale.
Sempre sul piano più umano che politico, non volendo minimamente farmi trascinare dalla strumentalizzazione, per esempio, del giornale di Carlo De Benedetti – Domani – con quel titolo contro “il dilettantismo di Meloni che indebolisce il paese”, oltre o più ancora del governo guidato da lei, ho trovato il giorno dopo la scoperta della beffa peggiore di quello precedente.
IL TENTATIVO GOFFO DELL’ACCORTO MANTOVANO DI SALVARE LA FACCIA ALLA PREMIER
E ciò per il tentativo un po’ troppo goffo di un uomo pure accorto come il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano di salvare, secondo lui, la faccia alla Meloni riconoscendole la bravura, l’astuzia e quant’altro di essersi accorta “dal primo momento” dell’inganno o incidente. Che a quel punto sarebbe dovuto durare un momento, appunto, e non i tredici minuti -se non sbaglio- della registrazione diffusa più di un mese e mezzo dopo o i trenta minuti vantati dai due comici.
Che dalla Russia – immagino con quanta soddisfazione di Putin – hanno raccontato di avere chiuso loro la telefonata per stanchezza. Sennò, chissà per quanto tempo ancora sarebbe durata quella chiacchierata in cui la premier si lasciava ogni tanto vincere dalla tentazione di dire “fra noi”, in camera caritatis, cose che avrebbe dovuto tenersi per sé proprio per avere capito, secondo Mantovano, le cui competenze o deleghe si spingono sino ai servizi segreti, con chi lei stesse parlando.
A questo punto non credo che abbia esagerato l’Unità a immaginare, in un titolo di prima pagina, sotto la foto dell’interessato, un’astronave che inforna la base: “Chigi, abbiamo un problema: si chiama Mantovano…”, prima ancora dell’addetto diplomatico pensionando della premier, della segretaria particolare, anzi particolarissima, della stessa Meloni, o del centralino telefonico. Dove magari, e pensando non solo a Palazzo Chigi, tutto sarà più sicuro quando riusciranno a sistemarvi un robot con la sua intelligenza artificiale. Di cui la Meloni è appena corsa a parlare a Londra anche col simpatico premier britannico Rishi Sunak.