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Salvini

Sea Watch. Salvini per la prima volta è isolato

I Graddi di Francesco Damato. Sulla questione della Sea Watch, e più in generale sul decreto sicurezza, Salvini sembra (per la prima volta dalla nascita del governo) isolato.

Abituato a sfidare, e spesso anche a vincere, nelle sue vesti di vice presidente del Consiglio e di ministro dell’Interno, il leader leghista Matteo Salvini sta vivendo l’esperienza per lui inedita dello sfidato, se non addirittura dell’assediato. E ciò sia all’interno del governo, sia all’esterno.

All’interno del governo l’omologo grillino Luigi Di Maio ha spiazzato e mandato su tutte le furie Salvini proponendo l’accoglienza in Italia delle donne e dei bambini bloccati da circa due settimane in mare sulla nave Sea Watch. E lasciando il resto dei profughi a disposizione di chi vorrà prendersi a carico gli uomini. Il che provocherebbe, peraltro, la separazione di nuclei familiari destinati poi a ricomporsi, probabilmente in Italia, dove la linea dura contro gli immigrati comincia a subire colpi, forse per gli eccessi compiuti da Salvini in parole e opere.

Si arriva così al secondo fronte dello scontro e delle sfide che per una volta il leader leghista deve ricevere e non dare: il fronte dei sindaci. Che, a dispetto di certe apparenze favorevoli al Viminale per il numero “esiguo” -si dice da quelle parti- dei primi cittadini in sostanziale rivolta contro l’applicazione della recente legge su sicurezza e immigrati, è fluttuante e insidioso. Se i sindaci e, più in generale, gli amministratori leghisti sinora sembrano solidali con il leader del loro partito, quelli di centrodestra – che pure rimane l’area elettorale del Carroccio- vacillano. Non parliamo poi delle convergenze fra la dissidenza amministrativa e i vescovi.

E’ accaduto anche ad altri governi e vertici di partito scontrarsi con i sindaci, una volta liquidati -per esempio- come “cacicchi” da un insofferente, al solito, Massimo D’Alema ancora forte. Ma non era mai accaduto che su una materia così delicata come la sicurezza un sindaco sfidasse il ministro in qualche modo sorvegliante, che è quello dell’Interno, a sostituirlo per poter impugnare l’atto davanti alla magistratura e chiedere a quest’ultima, che non ne vede forse l’ora, di trasferire la vertenza alla Corte Costituzionale. E’ ciò che ha fatto in diretta televisiva, su Rai 2, da Palermo Leoluca Orlando dopo avere definito “camomilla” una circolare emessa dal Viminale per cercare di mitigare, nell’applicazione, le norme della legge di sicurezza ostative, e perciò contestate dal sindaco siciliano, in materia di iscrizione all’anagrafe, con tutti gli effetti relativi, degli immigrati persino provvisti di permesso di soggiorno.

Leoluca Orlando, che nella sua attività amministrativa, fra le più lunghe in Italia, ha dato filo da torcere a fior di politici e magistrati, da Giulio Andreotti a Giovanni Falcone, ha portato la sfida a Salvini anche all’insolito livello, diciamo così, disciplinare e interdittivo. In particolare, egli ha chiesto alla Segreteria Generale del Palazzo delle Aquile di valutare provvedimenti a carico di un giornalista dell’ufficio stampa del Comune che aveva scambiato un post su facebook col ministro dell’Interno.

La situazione diventa per il ministro e, più in generale, per il governo ancora più difficile alla luce dei cambiamenti intervenuti a livello politico e mediatico con il ritorno, a livello nazionale, al sistema elettorale proporzionale. Che ha restituito la formazione del governo pienamente alla democrazia, diciamo così indiretta, quella delle trattative fra i partiti dopo le elezioni, lasciando l’autorevolezza e la stabilità degli organi prodotti dalla democrazia diretta solo alle amministrazioni locali e ai loro capi, sindaci dei Comuni o governatori delle Regioni che siano.

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