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Si è appannata la stella di Draghi?

Draghi Conferenza

I Graffi di Francesco Damato

Sino a qualche settimana fa quella di Sergio Mattarella e di Mario Draghi sembrava una coppia politicamente fortissima. L’uno si godeva al Quirinale il merito acquisito mandando l’altro a Palazzo Chigi a chiusura di una crisi di governo a lungo sottratta addirittura alla sua gestione, avendo Giuseppe Conte ritardato di almeno un mese le dimissioni. Draghi, dal canto suo, si godeva il merito di avere coraggiosamente accettato un’eredità disastrosa e di avere portato l’Italia addirittura al titolo di “Paese dell’anno” conferito da un settimanale come l’inglese Economist, per non parlare degli elogi del Financial Times. O dei mercati e delle Cancellerie.

Una volta lasciatasi scappare la voglia o disponibilità a trasferirsi al Quirinale come “un nonno al servizio delle istituzioni”, Draghi si è praticamente trovato a Palazzo Chigi come all’inferno. L’altra sera al Consiglio dei Ministri convocato per aggiornare le misure contro la pandemia egli ha dovuto metaforicamente guardarsi le spalle per l’assenza addirittura del ministro politico più amico e fedele assegnatogli da cronisti e retroscenisti. il leghista Giancarlo Giorgetti. E’ mancata persino la conferenza stampa finale alla quale Conte non si sottraeva mai, a qualsiasi ora dovesse toccargli di tenerla.

Il presidente del Consiglio ha mandato tre ministri nel cortile buio di Palazzo Chigi, o dintorni, per soddisfare la curiosità dei giornalisti attorno a un decreto legge, peraltro, senza ancora un testo scritto. La cui urgenza è quanto meno relativa, essendo destinato all’applicazione da metà febbraio. Insomma, è stata una contonata qualsiasi, dal nome del predecessore di Draghi ora presidente, poveretto, del MoVimento 5 Stelle “in autogestione”, come ha appena detto con franchezza la vice presidente dello stesso Movimento e del Senato Paola Taverna.

La liquidazione del presidente del Consiglio sulle prime pagine dei giornali è stata oggi impietosa: dal “Draghi scocciato coi suoi” del Fatto Quotidiano al Draghi che “vuole andarsene” di Libero, dal Draghi che ci ha ridotti “come il Targikistan” del Tempo al “governo Draghi giunto alla fine del suo percorso” del debenedettiano Domani, o al “governo affaticato” del Foglio, che pure continua a sperare o a puntare come in un ossimoro sulla elezione di “Supermario” al Quirinale. Un ossimoro, perché uno sfiancato non può certo vincere una corsa come quella al Colle.

Mattarella invece, per tornare alla coppia di apertura, è ulteriormente cresciuto di stima, gradimento e quant’altro. Non vi è ospite al Quirinale o uscita del presidente da quel palazzo che non gli riservi applausi e richieste esplicite o implicite di bis, scadendogli il mandato il 3 febbraio.

Al Palazzetto romano dello Sport, dove si è recato ieri per assistere alla partita e premiare personalmente la Imeco Conegliano vincitrice della Coppa Italia di pallavolo, Mattarella si è guadagnato anche il premo di “miglior giocatore”. Da cui lui, con modestia, d’altronde titolare del ben diverso ruolo di arbitro assegnatogli dalla Costituzione, si è schivato dicendo di non meritarlo.

Nella confusione, a dir poco, in cui ci troviamo, con un governo sfiancato pur sotto la guida di un uomo del prestigio internazionale di Draghi, e con un Parlamento -ripeto sino alla noia- delegittimato o comunque invecchiato in attesa delle Camere riformate per volontà dei grillini e degli alleati di turno succedutisi dal 2018, sarebbe ideale una conferma di Mattarella, libero poi di rimanere al Quirinale per altri sette anni o di andarsene prima, in condizioni politiche e istituzionali più chiare e stabili. Ma lui continua a non volerne sapere. Mi chiedo cos’altro dovrà ancora succedere per fargli cambiare idea.

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