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Sono i cinghiali i veri protagonisti delle amministrative di Roma

Cinghiali Roma

Se i cinghiali a Roma potessero anche votare, e non solo passeggiare… I Graffi di Francesco Damato

Abituati ormai a trovarceli accanto fra cassonetti e auto, ma anche sulle strisce pedonali, impegnati ad attraversale con maggiore disciplina degli uomini, delle donne e dei trans, inoffensivi con chi li lascia circolare in pace, e non fa come lo scorbutico Massimo Lopez, inseguito minacciosamente da uno ch’egli aveva cercato di contrastare; abituati, dicevo a trovarceli tra i piedi dappertutto, proviamo ad immaginare che i cinghiali a Roma si siano conquistati anche il diritto al voto, naturalmente nelle modalità consentite alla loro specie. Che d’altronde si è appena guadagnata l’attenzione e la simpatia di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, che ha offerto in prima pagina agli ungulati romani il caffè di giornata, e di Mattia Feltri sulla Stampa, col suo buongiorno quotidiano.

Fra i quattro candidati a sindaco appena messi insieme in prima pagina, anche qui, dal Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone, un editore ben educato che non vede l’ora di complimentarsi con chiunque di loro dovesse vincere la partita capitolina, i cinghiali almeno al primo turno dovrebbero votare per la sindaca uscente Virginia Raggi. La quale ha reso loro la vita facilissima sulle strade e nelle piazze della città, ordinando o comunque consentendo ai vigili urbani, cioè alla Polizia di Roma Capitale, come si dice ormai in gergo anche burocratico, di lasciarli passare e fare quello che vogliono, senza un calcio, un fischio, un colpo di pistola a salve, e tanto meno un’annotazione di targa per multarli, visto che vanno a piedi, non hanno documenti e neppure una targa appesa al codino. Caspita, una sindaca così cortese e comprensiva dove mai avrebbero potuto trovarla questi animali?

Ma, diavola di una donna, o dell’uomo che le ha suggerito questo tipo di difesa dagli attacchi degli sprovveduti cittadini critici o arrabbiati consultando leggi, decreti, ordinanze, sentenze e quant’altro, la Raggi ha voluto cercare di scaricare responsabilità e meriti di tanta generosa accoglienza sulla regione. Al cui presidente Nicola Zingaretti, del Pd, lo stesso partito del concorrente sindaco ed ex ministro Roberto Gualtieri, sarebbe spettato e spetterebbe ancora l’onere di un eventuale intervento, chiamiamolo così, di bonifica o di prevenzione. La cui omissione dovrebbe pertanto indurre i cinghiali ad un minimo di gratitudine, se non alla gratitudine maggiore. E invece, poveretti, rischiano di trovarsi in un imbarazzo fottutissimo se nel ballottaggio del 17 ottobre la partita capitolina se la dovessero giocare proprio la Raggi e lo zingarettiano Gualtieri, alla faccia del candidato del centrodestra Enrico Michetti, sicuro invece di arrivarci con quel po’ po’ -rigorosamente staccato- di campagna elettorale che gli sta facendo Giorgia Meloni con quelle labbra dipinte di rosso chiaro giusto per smentire che le piaccia invece il colore nero.

Non parlo poi di quell’altro candidato -l’ex ministro, pure lui, Carlo Calenda- che sembra il più sfigato di tutti per un paradossale contrasto tra competenza, che è obbiettivamente altissima, e seguito elettorale, che risulta non dico scarso, ma insufficiente a fronteggiare con qualche seria possibilità i concorrenti. Capita spesso che in politica, quando ci si sottopone al voto, la competenza valga poco. Non a caso uno furbo come Mario Draghi non si è mai lasciato tentare in vita sua da una campagna elettorale. E non cercherà di farlo certamente adesso, alla scadenza ordinaria o anticipata di questa strana legislatura, la più pazza della Repubblica.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

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