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Tensioni giudiziarie in Procura

Procura

I Graffi di Damato sulla parabola trentennale della Procura della Repubblica di Milano

A proposito delle indagini della Procura di Brescia annunciate a carico del capo della Procura ambrosiana Francesco Greco per omissione d’atti d’ufficio, almeno per ora, si può dire che tutto, o quasi tutto, cominciò a Milano nel 1992, con l’arresto di Mario Chiesa in flagranza di tangenti nel suo ufficio di presidente del Pio Albergo Trivulzio, e tutto, o quasi tutto, potrebbe concludersi a Milano.

Nel 1992 Greco aveva 41 anni ed era uno dei sostituiti procuratori di Francesco Saverio Borrelli. Oggi egli regge quella Procura da cinque anni e dovrebbe andare in pensione a novembre, quando ne compirà 70. Ma il vecchio, direi storico cronista giudiziario Frank Cimini, napoletano come Greco insediato per lavoro in Lombardia, gli ha già suggerito dalle colonne del Riformista di rinunciare volontariamente e in anticipo all’incarico perché “non sembra in grado di riguadagnare l’antica credibilità”. Egli sarebbe indebolito non solo e non tanto dal procedimento avviato a Brescia, dove non è certamente la prima volta che si indaga su magistrati operanti a Milano, quanto dai contrasti esplosi su di lui all’interno della Procura, e più in generale del tribunale di Milano.

Greco è accusato, sospettato e quant’altro di non avere promosso l’azione penale sollecitata dal suo sostituto Paolo Storari per le rivelazioni di un avvocato, Piero Amara, troppo prezioso quale teste contro l’Eni in un processo di corruzione internazionale in corso per rischiare di comprometterne la credibilità. Questo processo tuttavia si è concluso con la sconfitta dell’accusa, per quanto questa avesse omesso di rendere pubblici elementi favorevoli agli imputati emersi dalle indagini.

Tutto o quasi, dicevo, cominciò a Milano con Francesco Greco come uno dei sostituiti di Francesco Saverio Borrelli -famoso anche per quel “resistere, resistere, resistere” gridato in tribunale contro il governo di turno presieduto da Silvio Berlusconi, non sconosciuto di certo negli uffici ambrosiani d’accusa- e tutto o quasi potrebbe concludersi a Milano. Cosa sia questo tutto o quasi prescinde dalle persone, a cominciare dal capo uscente della Procura ambrosiana per finire -a ritroso- con la buonanima di Francesco Saverio Borrelli, e riguarda il protagonismo assegnatosi da quella postazione e riconosciutagli da tutto il sistema giudiziario, con l’appoggio di quasi tutti i giornali. Dagli avvisi di garanzia in partenza da Milano, dalle sue richieste di arresti, quasi sempre concesse ed eseguite davanti a telecamere puntualmente presenti, cominciò a ruotare tutta la politica: sia quella della morente prima Repubblica sia quella delle successive edizioni .

A toccare quel protagonismo, insidiato solo dalla Procura di Palermo col filone giudiziario non della corruzione ma della mafia, si rischiava grosso. Rischiavano i giornalisti con processi per diffamazione senza scampo, o quasi, e i politici. Ci rimise il posto anche un ministro della Giustizia, il compianto Filippo Mancuso, sfiduciato al Senato per avere osato ordinare un’ispezione sgradita a Milano. Sono fatti, non illazioni. E solo i fatti potranno ora dirci se e quanto le cose siano cambiate, o possano cambiare.

 

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