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Tra guerra e G7, i giornali italiani scelgono di parlarci solo di ballottaggi

Israele

I Graffi di Damato

Lasciatevi dire da un vecchio ma non ancora rincoglionito collega, cari amici della carta stampata, che il vostro provincialismo è avvilente, con tutti quei titoli di apertura in prima pagina dedicati ancora ai risultati dei ballottaggi comunali di domenica scorsa. E soprattutto alle polemiche con le quali i vari partiti, giocando con i numeri come al solito, cercano di moltiplicare le loro vittorie o di ridurre le perdite, o i fiaschi pur riconosciuti a botta calda, come quell’harakiri del centrodestra gridato a caratteri di scatola lunedì dall’insospettabile Giornale della famiglia Berlusconi.

Per quanto possa apparire succulenta persino la delusione, la protesta e quant’altro di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano contro Beppe Grillo -sceso finalmente a Roma dalla sua Genova per commissariare Giuseppe Conte, o per “riprendersi”, come dice l’esperto e professore Paolo Becchi, ciò che resta del movimento 5 Stelle intimandogli come un Di Maio qualsiasi di lasciare in pace Mario Draghi a Palazzo Chigi e di confermare il divieto del terzo mandato per gli eletti- la notizia di maggiore rilevanza è quella venuta dal G7 in Germania. Lo è per gli interessi anche di chi non se n’è accorto e potrà scoprirne gli effetti nelle proprie sacre tasche a scadenza anche ravvicinata.

Per nulla intimiditi dalla ferocia di Putin, che ha moltiplicato gli attacchi missilistici nel paese confinante proprio in coincidenza col summit di Monaco, i leader occidentali del G7 hanno deciso che il loro appoggio all’Ucraina durerà fino a quando sarà necessario. “As long as it takes”, ha detto in inglese la presidente tedesca della Commissione Europea Ursula von der Layen. E’ un pò la versione, aggiornata all’Ucraina, di ciò che disse dieci anni fa l’allora presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi -“ Watever it talkes”, costi quel che costi- per declamare la difesa ad oltranza, cioè il salvataggio, dell’euro dalla traduzione commerciale, cioè speculativa, di carattere anche occidentale della prepotenza odierna di Putin contro i vicini odiati per la loro occidentalizzazione, scambiata al Cremlino per nazificazione.

Draghi, partecipe naturalmente del G7 in rappresentanza dell’Italia, per quanto molti lo considerino dalle nostre parti un abusivo mandato a Palazzo Chigi più di un anno fa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per quello che Travaglio avrebbe definito “Conticidio” in un libro, ha preceduto a Monaco la presidente della Commissione Europea dicendo che “Putin non può vincere” la partita a tradimento aperta contro l’Ucraina. Ma diretta contro tutti quelli indisponibili alla resa alle mire espansionistiche di una Russia tornata dichiaratamente, per bocca dello stesso Putin, ai tempi di Pietro il Grande.

Quei morti ancora non del tutto contati fra i mille clienti del centro commerciale ucraino -non di un arsenale- colpito dai missili russi perché ne sentissero in modo metaforico il suono e la puzza di carne bruciata anche a Monaco, in una “strage di civili” giustamente denunciata con la foto di copertina del manifesto, pur sovrastata da un titolo sulle misere elezioni amministrative italiane, rimarranno nel gozzo di Putin. E a togliergliele non gli basteranno le assoluzioni e benedizioni del patriarca di Mosca Cirillo, così poco protetto ormai da lassù che recentemente è scivolato sull’acqua santa che aveva sparso per terra nella sua chiesa.

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