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Tutte le fibrillazioni italiane del viaggio di Draghi negli USA

Draghi Vaccini

I Graffi di Damato

In questi giorni di guerra feroce in Ucraina, per quanto considerata da qualcuno “per procura” nel caso proprio dell’Ucraina, che sarebbe manovrata di notte dalla Casa Bianca e di giorno dalla Nato, o viceversa, come preferite, Putin e Zelenzky esibiscono ciascuno quello che ha per festeggiare i 77 anni trascorsi dalla vittoria dei loro paesi, allora uniti sovieticamente, sui nazisti che avevano cominciato la seconda guerra mondiale in alleanza con Stalin per spartirsi la Polonia, e poi proseguita contro la Russia.

A Mosca Putin esibisce le sue truppe e i suoi armamenti nella parata tradizionale davanti al Cremlino dando dei nazisti agli ucraini che non hanno salutato come liberatori i russi mandati il 24 febbraio scorso ad occuparne il territorio, incautamente sicuri di una “operazione” tanto “speciale” quanto rapida, di eliminazione anche fisica del presidente democraticamente eletto nel 2019 con più del 70 per cento dei voti: Zelensky, appunto, un comico felicemente trasformatosi in leader internazionale, diversamente da altri che in Italia stiamo ancora sperimentando.

In Ucraina questo leader combattente e coraggioso, rifiutatosi di scappare per un esilio disonorevole, esibisce quello che ha e che non è meno importante, forse ancora più efficace, delle truppe e dei missili mostrati nella Piazza Rossa: l’ottimismo e voglia di vivere liberamente della sua gente e l’amicizia degli americani e dei loro alleati. La prima, la voglia cioè di vivere liberamente, si vede nelle immagini del concerto improvvisato da Bono Vox e gli U2 in una stazione della metropolitana di Kiev. La seconda, l’amicizia e il sostegno degli americani, si trova nella foto dell’incontro, in terra ucraina, fra le mogli di Biden e di Zelensky, svoltosi quasi in coincidenza con il G7 a distanza cui hanno partecipato i loro mariti. E che si è concluso col proposito generale di non far vincere la guerra a Putin semplicemente perché l’Ucraina ormai è da considerarsi europea. Lo ha detto come più chiaramente non poteva in Italia il segretario del Pd Enrico Letta in una intervista al Corriere della Sera così titolata, fra virgolette, nel richiamo in prima pagina: “L’Ucraina è Europa: tocca a noi costringere il Cremlino alla pace”, sino ad ora rifiutata da Putin scommettendo sulla incapacità di tenuta dell’Europa e, più in generale, dell’Occidente.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi domani incontrerà il presidente americano esattamente sulla linea esposta, anzi condivisa da Enrico Letta, anche se ogni tanto si levano pure dal Pd voci di dissenso o di allarme, come quella dell’ex capogruppo alla Camera Graziano Delrio trionfalmente salutata da altri partiti o leader critici della maggioranza: da Giuseppe Conte, il presidente del MoVimento 5 Stelle, a Matteo Salvini, il capo della Lega, ritrovatisi quasi insieme dopo la clamorosa rottura del 2019.

Eravamo abituati sino a ieri a registrare con riserve la posizione polemica di Conte, che da Draghi voleva addirittura che non andasse negli Stati Unti ad “obbedire”, secondo il titolo del solito Fatto Quotidiano, senza passare prima per un dibattito parlamentare ed essere magari bloccato. Le riserve nascevano dalla ben diversa posizione del ministro degli Esteri grillino Luigi Di Maio, che nel MoVimento è amico di Conte come sapevano esserlo fra di loro i democristiani delle stagioni più rissose della cosiddetta prima Repubblica. Ma va registrata la novità di un Di Maio, salvo precisazioni o smentite, che si è unito a quanti nella maggioranza sostengono che con le armi ricevute dagli occidentali gli ucraini non possano né debbano colpire territori della Russia, neppure quelli da cui partono i missili che devastano ulteriormente il Paese di Zelensky. Ciò significherebbe aiutare gli ucraini solo a soccombere il più tardi e sanguinosamente possibile, non certo a vincere.

 

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