Divide et impera, Macron seduce i socialisti e si riprende la Francia. Parla il prof. Marchi (Unibo)
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Cosa succede tra Pd e M5S, tra Nicola Zingaretti e Vito Crimi? I graffi di Damato
Per quanto sorpreso una volta al Senato in sonno vero, non massonico, il reggente del movimento pentastellato Vito Crimi è stato lesto nella protesta contro il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Che da alleato di governo, in una intempestiva “ripartenza”, quasi sulla carrozzella assegnata all’Italia dal vignettista Stefano Rollli sul Secolo XIX, si era vantato di avere praticamente strappato “l’agenda” dalle mani dei grillini dopo il passaggio dalla maggioranza gialloverde a quella giallorossa. E di avere anche accorciato le distanze elettorali e sondaggistiche fra il suo Pd e il principale partito di opposizione, che è la Lega di Matteo Salvini.
Al Fatto Quotidiano di Marco Travaglio – e a chi sennò?- Crimi si è affrettato a raccontare la sua sorpresa e amarezza per la spavalderia, chiamiamola così, di Zingaretti attribuendola al bisogno di “distogliere l’attenzione dalle difficoltà del Pd, con tutte le sue anime diverse”. Che credo tuttavia inferiori a quelle del movimento grillino, specie dopo che Matteo Renzi ha sfoltito la boscaglia piddina uscendone.
“Ci siamo sentiti e chiariti”, ha assicurato Crimi parlando di Zingaretti a proposito della sua orgogliosa intervista, col cuore in mano, al direttore della Stampa. Ma chiariti in che senso? Con l’impegno del segretario del Pd -ha raccontato Crimi- di “rendere ancora più solido il rapporto con noi, per il Paese”. Si sarebbe quindi scusato.
Peccato, tuttavia, che a un impegno del genere non ne corrisponda uno analogo dei grillini, visto che lo stesso Crimi nella medesima occasione dell’intervista al Fatto Quotidiano -che non a caso, e giustamente una volta tanto, vi ha ricavato il titolo- ha praticamente sfidato il Pd sul terreno scivolosissimo del Mes, acronimo di quel meccanismo europeo di stabilità da cui il partito di Zingaretti è deciso ad attingere un credito a buon mercato di 36 miliardi di euro da investire nella sanità. Che è l’unica condizione prevista e concordata ormai in sede comunitaria per accedervi. Ma di cui i pentastellati continuano a non fidarsi temendo trappole spaventose.
Poiché il presidente del Consiglio ha più volte annunciato che su questo punto, non certamente secondario perché coinvolge il tema più generale dei rapporti con l’Unione Europea, lascerà l’ultima parola al Parlamento, Crimi gli ha annunciato papale papale attraverso il giornale di Travaglio che su questa materia “non può esserci un vincolo di maggioranza”. E’ ciò che i grillini, d’altronde, dissero e fecero l’anno scorso anche sulla questione della Tav, cioè della linea ad alta velocità per il trasporto ferroviario delle merci tra la Francia e l’Italia, su cui il Senato diede via libera -contro il parere del movimento delle 5 Stelle- al primo governo Conte. Che non a caso cadde dopo pochi giorni, sia pure per formalità e motivazioni diverse azionate dai leghisti. Non è un precedente rasserenante, diciamo così, per il governo ancora in carica, per quanto l’emergenza virale potrà contenere i danni dell’incidente, ma anche moltiplicarli, forse. Si vedrà. Intanto Conte può consolarsi con la promozione concessagli da Eugenio Scalfari, che sulla Repubblica lo ha fatto passare oggi, fra una domenica e l’altra, da una posizione “incerta” a una “decisiva”.
In previsione del passaggio parlamentare a dir poco di fuoco, o da cardiopalma, sul Mes dall’’interno del Pd si è levato già il 12 maggio un consiglio a Conte firmato dall’ex vice ministro dell’Economia Enrico Morando. Che in un articolo sul Riformista gli ha suggerito, in particolare, di aggirare, se non sfidare, i grillini con una mozione per impegnare il governo a elaborare con le regioni un piano di utilissima “ristrutturazione del sistema sanitario italiano” da finanziare appunto col Mes.