Giorgio Forattini, il vignettista che segnò la satira italiana, è morto ieri a 94 anni. Ecco l’elenco (infinito) dei suoi bersagli
È scomparso ieri a Milano Giorgio Forattini, il più celebre vignettista politico italiano. La sua matita corrosiva e la capacità di trasformare la scena politica in immagini memorabili lo hanno reso una firma irrinunciabile dei grandi quotidiani e delle raccolte satiriche del Paese. E hanno scatenato l’ira di tanti potenti.
GIORGIO FORATTINI, RE DELLA SATIRA
Nato 94 anni fa a Roma, il 14 marzo 1931, Forattini prende inizialmente tutt’altra strada. Operaio nel Nord Italia, poi commerciale e pubblicitario per Fiat e Alitalia, non disegnerà sui giornali fino ai quarant’anni, quando vince un concorso indetto da Paese Sera. Sul quotidiano romano inizierà a pubblicare in pianta stabile, affiancandovi via via la collaborazione con Panorama.
CO-FONDATORE DE LA REPUBBLICA
Nel 1975 è tra i fondatori de la Repubblica al fianco di Eugenio Scalfari. Negli anni firmerà decine di vignette destinate a imprimersi nell’immaginario collettivo, contribuendo di fatto a dare una fisionomia visiva al neonato giornale. Sua l’invenzione dell’inserto Satyricon, il primo interamente dedicato al genere, dentro il quale trovò spazio il talento, tra gli altri, di Sergio Staino ed Ellekappa.
Diresse inoltre la storica rivista Il Male e pubblicò svariate raccolte che ripercorrono decenni di storia politica italiana raccontata per immagini. Negli ultimi decenni passò a La Stampa, quindi a Il Giornale e infine ai quotidiani del gruppo QN.
TUTTI I BERSAGLI DI GIORGIO FORATTINI
Forattini non risparmiò mai il potere, ma di certo non si può dire il contrario. In un’ultima intervista a due, la moglie Ilaria Cerrina Feroni ricordava: “Le sue vignette non sono piaciute a D’Alema, a Craxi, a Caselli, a Orlando. Di Giorgio ho sentito tante cose ingiuste. Gli davano del fascista, semplicemente perché non era comunista”.
Ed effettivamente fece arrabbiare in molti, infilzando uomini di potere a destra e a sinistra. Una sua storica vignetta, in cui raffigurava Berlinguer intento a leggere l’Unità in veste da camera e indifferente alla rivoluzione in strada, scatenò l’indignazione dello storico ufficiale del PCI, che vergò una vibrante lettera d’indignazione rivolta all’allora direttore de la Repubblica.
Non si pentì mai di nessuna vignetta, tranne, come ammise in più occasioni, di quella sul suicidio di Raul Gardini.
Ma dietro alla ferocia, c’era la capacità rara di toccare corde più profonde: Spadolini nudo e innocente come un putto; la Sicilia in lacrime dopo la strage di Capaci; la sedia a rotelle abbandonata sulla riva del mare dedicata a Leon Klinghoffer.
LA COMMEDIA DELLA POLITICA
La sua satira fu un teatro permanente, in cui i leader italiani diventavano maschere di un’epopea comica e crudele. Forattini non si limitava a somigliare: reinventava. De Mita portava la coppola, Veltroni diventava un bruco, Buttiglione un gorilla; Bossi sventolava spadoni alla Alberto da Giussano; Prodi aveva l’aria paciosa di un curato di campagna; la sua vignetta con “il tappo che salta”, riferita a Fanfani, anticipò l’esito del referendum sul divorzio.
LE QUERELE
Fioccarono anche le querele: da Craxi, raffigurato come un borseggiatore, quando non da Mussolini; da Caselli, nel ’98, di cui aveva fatto una feroce caricatura in relazione al suicidio del giudice Luigi Lombardini; da D’Alema, vestito come un Hitler comunista, nei giorni del caso Mitrokhin, una vignetta che portò all’interruzione del suo rapporto decennale con la Repubblica.
Pur bersagliato a più riprese, ritratto come il politico proteiforme, capace di assumere ogni espressione e negarle tutte, Giulio Andreotti non gli fece mai causa, riconoscendo la capacità del disegnatore di trarre icone dalla cronaca politica: “Che posso dire di Forattini? È lui che mi ha inventato”.

