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Tutti i messaggini di Conte a Fitch

I graffi di Damato sull’ormai stoico ottimismo del premier Conte anche alle previsioni di Fitch

In partenza per l’Africa, non per Putigliano, la cittadina della sua regione a una quarantina di chilometri da Bari, dove si svolge la festa in maschere più lunga d’Europa, con una sfilata di carri che non hanno nulla da invidiare a quelli pur più famosi di Viareggio, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in una intervista al Corriere della Sera ha opposto il suo ormai stoico ottimismo anche alle previsioni di Fitch. Che naturalmente è la notissima agenzia americana di rating appena espressasi con preoccupazione sull’Italia, pur lasciando invariata la valutazione del suo debito pubblico, perché avverte non il rischio ma la certezza di elezioni anticipate in questo 2019, pur “bellissimo” secondo recenti promesse, o addirittura garanzie, dello stesso Conte.

IN ITALIA CADONO GLI ALBERI E NON SOLO

Ma che caduta e caduta. In Italia cadono gli alberi per il vento, che certamente non soffia da Palazzo Chigi e fa parecchi danni. Cade la produzione industriale. Cade il pil. Cade nei sondaggi e nelle elezioni non proprio localissime, come sono quelle regionali, il principale partito della maggioranza parlamentare e della coalizione gialloverde improvvisata, pur con tanto di contratto, dopo le elezioni politiche del 4 marzo dell’anno scorso, ma non cade né cadrà il governo. Parola, appunto, di Conte. E alla faccia degli americani di Fitch e di tutti i menagrami d’Italia che scommettono sulla crisi ignorando forse la forza di quel motto, riproposto ai suoi tempi da Giulio Andreotti, secondo cui anche ai governi, e ai governati, conviene continuare a campare piuttosto che tirare le cuoia.

CONTE AVVOCATO DEL POPOLO CONTRO LO SPREAD

Agli incauti osservatori che stanno lì a misurare ogni giorno, o a ogni ora e frazione, l’andamento di quel maledetto mister Spread scoperto da molti italiani solo nell’estate del 2011, quando salì di tanto da travolgere l’ultimo governo “eletto” direttamente dal popolo, come Silvio Berlusconi ama ancora definirlo con generoso rimpianto, Conte ha opposto un’analisi più psichica che politica, più dietrologica o persino golpistica che economica, con quegli “impulsi esterni” che gonfiano, all’occorrenza, la “bolla mediatica” delle differenze dei costi del nostro ingente debito pubblico rispetto a quello tedesco, cui gli investitori finanziari hanno la maledetta abitudine di paragonarlo. Beh, insomma, il presidente del Consiglio cerca di fare al meglio il mestiere che si è dato di “avvocato del popolo”, inteso però come avvocato pietoso, che assiste il suo cliente cercando in tutti i modi di rasserenarlo, di fargli credere che la causa è vinta in partenza. E se poi sarà perduta, la colpa sarà solo dei giudici, da apostrofare come il tifoso fa allo stadio con l’arbitro che ha negato il rigore alla sua squadra.

IL POPULISMO IN COMUNE TRA BERLUSCONI E GRILLO SECONDO SCALFARI

Uno sguardo sulla situazione politica italiana lo ha allungato, nel suo appuntamento domenicale con i lettori della Repubblica di carta da lui fondata, anche Eugenio Scalfari, dopo l’ormai abituale e lungo interessamento alle parole, ai gesti e all’azione di Papa Francesco. Ebbene, nell’esercizio psichico, filosofico e culturale dei paragoni e, più in particolare, delle assonanze che lo appassiona da una vita Scalfari ci ha offerto quello fra Silvio Berlusconi e non Gabriele D’Annunzio, come sembrava tentato in un primo momento, ma Beppe Grillo. Che in comune avrebbero il populismo. Ma a sorpresa, nonostante i risultati elettorali dei rispettivi partiti, quello di Berlusconi batterebbe il populismo del comico genovese.

Chissà se i due prima o dopo non smettano d’insultarsi da Arcore e da Genova e non si accordino, alla faccia di capitan Salvini. Avrà forse voglia di chiederselo prima o dopo Scalfari. Che di paradossi nella sua lunga vita ne ha ormai visti, vissuti e a volte anche provocato tanti da non potersi o doversi meravigliare davvero di nulla.

 

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