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Ufficio del Massimario

Ufficio del Massimario: cos’è, da chi è composto e perché divide toghe e governo

L’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, solitamente riservato e tecnico, è improvvisamente finito sotto i riflettori per i suoi rilievi giuridici sul decreto sicurezza e sul patto Italia-Albania. Ecco cos’è 

Sconosciuto ai più, il Massimario della Corte di Cassazione s’è guadagnato negli ultimi giorni un’insolita notorietà. Prima per i pareri negativi espressi sul decreto sicurezza e sul patto Italia-Albania, salutati con sollievo dall’opposizione, poi per la virulenta risposta di vari membri dell’esecutivo, infine per l’intervista infuocata al ministro della Giustizia Carlo Nordio pubblicata oggi sul Messaggero, in cui si bolla l’intervento dell’Ufficio come “improprio, imprudente” e “irriverente verso il Capo dello Stato”.

Ma di cosa si occupa realmente questo organo? E perché le sue analisi hanno sollevato un acceso dibattito politico-istituzionale?

CHE COS’É L’UFFICIO DEL MASSIMARIO

Di norma lontano dalle luci della ribalta, chiamato com’è a esprimersi su astruse questioni giuridiche, l’Ufficio del Massimario è un organo tecnico-istituzionale che svolge funzioni di studio, analisi e supporto utili a orientare e uniformare la giurisprudenza di legittimità.

Il fine è quello di fine di garantire un’“utile e diffusa informazione” – sia interna che esterna alla Corte – indispensabile affinché le norme vengano interpretate e applicate con uniformità (funzione “nomofilattica”).

Tale attività si articola nella lettura, selezione e “massimazione” delle sentenze civili e penali; nella redazione di concise “notizie di decisione” per il “servizio novità” sul sito web; nella segnalazione di contrasti interpretativi e delle novità normative; nella stesura di relazioni per i ricorsi alle Sezioni Unite; nonché nella produzione di relazioni informative, approfondimenti tematici e rassegne di giurisprudenza, e nel contributo alla formazione dei ruoli di udienza. Non una corte, dunque: non emette sentenze e i suoi pareri non sono vincolanti, sebbene i suoi pareti fungano da “bussola” per magistrati, avvocati e studiosi, contribuendo a garantire omogeneità nell’applicazione delle leggi.

DA CHI È COMPOSTO L’UFFICIO DEL MASSIMARIO

Istituito formalmente nel 2004, l’Ufficio del Massimario opera all’interno del palazzo della Cassazione. L’organico dell’Ufficio conta 67 magistrati di tribunale, coordinati da un Direttore (Prof. Alberto Giusti), coadiuvato da due Vicedirettori (uno per il penale, Cons. Angelo Caputo; uno per il civile, Dott.ssa Antonietta Scrima), due Coordinatori settoriali (Dott. Luigi La Battaglia per il civile, Dott. Gennaro Sessa per il penale) e dal Responsabile Amministrativo Eugenio Antonio Tassitano.

LO SCONTRO TRA ESECUTIVO E MAGISTRATURA

Le critiche dell’esecutivo all’Ufficio del Massimario sollevano ancora una volta una serie di questioni di principio sul rapporto fra potere politico e magistratura di legittimità. Nello specifico, la relazione tecnica dell’Ufficio evidenziava presunti vizi di costituzionalità e carenze di necessità e urgenza del decreto Sicurezza.

Secondo Nordio, però, l’Ufficio “non ha nessuna legittimazione a pronunciarsi in via preventiva sulla costituzionalità delle leggi, e tantomeno sul loro contenuto politico” e la relazione in oggetto costituirebbe pertanto “un vero oltraggio al Parlamento sia pur espresso nel linguaggio aulico del giuridichese”, oltre a essere “irriverente verso il Capo dello Stato”, dal momento che rileva illegittimità che Mattarella avrebbe ignorato.

LE REAZIONI DI ANM E CASSANO (CORTE DI CASSAZIONE)

L’ANM ha difeso l’autonomia tecnica dell’Ufficio del Massimario, sottolineando che le sue relazioni hanno natura meramente redazionale e non politica.

Mentre Margherita Cassano, primo presidente della Corte di Cassazione, in un’intervista al Corriere, invitava a tornare già due giorni fa a toni “toni pacati e riflessivi” nel confronto tra le istituzioni, ricordando come l’Ufficio svolga “questo tipo di attività ogni volta che c’è una nuova legge” e respingendo ogni ipotesi di “condizionamento, perché da queste relazioni non deriva alcun automatismo né alcuna incidenza sulla libera, autonoma interpretazione della legge da parte di ciascun giudice, sia di legittimità che di merito”.

 

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