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Oltreconfine

Al-Sharaa da Trump, una portaerei per Xi, Bin Salman compra F-35. Notizie da Oltreconfine

Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di Policy Maker

AL-SHARAA ALLA CASA BIANCA: DA JIHADISTA A ALLEATO ANTI-ISIS

La Siria si unisce alla coalizione internazionale contro l’Isis: lo ha annunciato, come riporta la BBC, un alto funzionario dell’amministrazione Trump dopo lo storico incontro di ieri alla Casa Bianca tra il presidente Usa e Ahmed al-Sharaa, primo presidente siriano a entrare in quelle stanze. Così la Siria diventa il 90° Paese della coalizione globale contro lo Stato Islamico, impegnata a eliminarne i residui e a bloccare l’arrivo di foreign fighter nella regione. In un’intervista a Fox News, al-Sharaa ha definito l’incontro l’inizio di una “nuova era” di collaborazione con Washington. Subito dopo, i dipartimenti del Tesoro, di Stato e del Commercio hanno annunciato la rimozione di molte restrizioni economiche verso la Siria, con linee guida chiare per gli investitori. Tra le misure, una sospensione di 180 giorni del Caesar Act, che dal 2019 colpiva il vecchio regime. Dallo Studio Ovale, Trump avrebbe detto: “Vogliamo una Siria di successo, e questo leader può farcela”. I rapporti diplomatici tra Usa e Siria si erano interrotti nel 2012; ora Damasco riaprirà la sua ambasciata a Washington. È il terzo faccia a faccia tra i due leader: si erano visti a maggio, a margine del Consiglio di Cooperazione del Golfo, e a settembre, a una cena durante l’Assemblea generale Onu. Al-Sharaa, ex jihadista, ha guidato una branca di Al-Qaeda e fino a pochi mesi fa era a capo del grupppo terroristico Hayat Tahrir al-Sham. Su Al-Shaara pendeva una taglia da 10 milioni di dollari. Ma la settimana scorsa il Tesoro lo ha cancellato dalla lista dei terroristi globali. Da presidente ad interim della Siria, sta cercando di rifarsi un’immagine per ricostruire il Paese dopo 13 anni di guerra, rincorrendo gli aiuti internazionali. Il suo governo, però, è macchiato da uccisioni di alawiti e da scontri sanguinosi tra beduini sunniti e milizie druse. Al-Sharaa giura di punire i responsabili di questi eccidi nelle sue forze di sicurezza. Trump lo descrive come “un giovane attraente, un combattente” e a giugno ha firmato un ordine esecutivo per revocare le sanzioni, perseguendo stabilità, pace, lotta ai gruppi militanti e normalizzazione con Israele.

LA CINA VARA LA PORTAEREI FUJIAN

Come riferisce l’Associated Press, la Cina ha varato ufficialmente la sua terza portaerei, la Fujian, durante una cerimonia a Hainan alla presenza del presidente Xi Jinping. È la prima progettata e costruita interamente in casa, simbolo del piano di Xi per una marina moderna entro il 2035 e “di classe mondiale” a metà secolo, in grado di tenere testa agli Stati Uniti. Con la Fujian, Pechino rafforza la flotta più grande del mondo, puntando a proiettare potenza ben oltre le coste. Greg Poling del CSIS spiega all’Associated Press che la Fujian serve per contestare ai rivali il controllo dei mari fino alla Seconda Catena di Isole, inclusa Guam, dove sorge una base americana chiave. Non è decisiva nel Mar Cinese Meridionale o vicino Taiwan, ma è fondamentale per operazioni nel Pacifico vasto, dove permetterà di ritardare eventuali interventi Usa in caso di conflitto. A differenza delle prime due portaerei – la Liaoning ex sovietica e la Shandong su modello russo, con rampe ski-jump – la Fujian adotta un sistema elettromagnetico come le portaerei americane di classe Ford: può così lanciare aerei più pesanti a pieno carico, inclusi il KJ-600 per sorveglianza e i caccia stealth J-35 e J-15T. Può operare autonomamente, senza dipendere da basi terrestri, estendendo il raggio di controllo su aria, mare e sottomarini. Nonostante questo significativo sviluppo, la Marina cinese resta indietro rispetto al rivale statunitense: dispone infatti di sole tre portaerei convenzionali contro le undici a propulsione nucleare degli Usa, che navigano senza bisogno di rifornimenti. Manca in incrociatori, sottomarini nucleari, celle missili e basi estere. Washington dispone invece di una rete globale per rifornimenti e piste alternative. La Cina però accelera: sviluppa la propulsione nucleare, costruisce un’altra portaerei e sforna navi a ritmi che gli Usa non riescono a eguagliare. Il Pentagono considera la Cina l’unico rivale capace di ridisegnare l’ordine mondiale. In Giappone, il governo guidato dalla nuova premier Takaichi esprime preoccupazione per l’espansione militare “opaca” di Pechino e promette risposte decise.

ARABIA SAUDITA VERSO GLI F-35

Come sottolinea The National Interest, durante il primo mandato di Trump gli Stati Uniti provarono a vendere gli F-35 agli Emirati Arabi Uniti, ma l’accordo sfumò per volontà dell’amministrazione Biden. Oggi, a un passo dal diventare il primo Paese del Golfo a riceverli, potrebbe esserci l’Arabia Saudita. Riad punta a un massimo di 48 caccia stealth di quinta generazione e, secondo Reuters, l’affare ha appena superato un importante ostacolo al Pentagono, proprio in vista della visita a Washington del principe ereditario Mohammed bin Salman, prevista per la prossima settimana. I sauditi, che destinano l’8,1% del loro PIL alla difesa, sono già i maggiori clienti di armi americane al mondo. La loro aeronautica schiera gli F-15 Eagle (nella variante SA), gli Eurofighter Typhoon e i vecchi Tornado, ma ora i sauditi cercano un salto tecnologico. Sotto Biden si era ipotizzato un accordo legato alla normalizzazione delle relazioni con Israele, un percorso poi bloccato dalla guerra a Gaza. Trump potrebbe ripartire dagli Accordi di Abramo, che portarono Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan a riconoscere lo Stato ebraico. A maggio Washington ha chiuso con Riad un pacchetto record da 142 miliardi di dollari – il più grande accordo di cooperazione militare Usa – con equipaggiamenti per aeronautica, difesa missilistica, sicurezza marittima, confini e comunicazioni. Gli F-35, però, non c’erano. Il Congresso resta un nodo: alcuni parlamentari frenano per via del precedente dell’omicidio del giornalista del Washington Post di origine saudita Jamal Khashoggi, avvenuto nel 2018 al consolato saudita di Istanbul. L’altro scoglio è il dogma della superiorità qualitativa israeliana di Israele, unico operatore regionale degli F-35. Lo Stato ebraico aveva ostacolato la vendita agli Emirati, poi la sua resistenza venne meno dopo la firma degli Accordi di Abramo da parte dell’emirato, ma l’affare saltò per via dei sospetti Usa relativi ai legami UAE-Cina. L’America garantisce da sempre la superiorità qualitativa israeliana sui vicini, anche su alleati come Giordania ed Egitto. Per Israele, infatti, gli amici di oggi possono diventare nemici domani – l’Iran insegna. A volere gli F-35 non solo è Riad: anche Egitto, Bahrain e Marocco bramano per averli. Il Marocco, che ha normalizzato le relazioni con Israele, incontra meno resistenze; avviò i colloqui con gli Usa nel 2020, accelerò nel 2021 con incontri tra ministri della difesa, in un percorso che rallentò nel 2022 ma è ripartito l’anno scorso, quando la rivale Algeria si è avvicinata alla fornitura dei Su-57 russi. In questo caso Washington potrebbe voler preservare il vantaggio di un alleato, evitando che Mosca prenda piede.

 

 

 

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