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Oltreconfine

“Bibi” a Washington, virata USA su energia, BRICS sotto pressione: notizie da Oltreconfine

Dalla Casa Bianca ai vertici internazionali, il mondo osserva tra speranze di pace e scontri economici. Oltreconfine, la rassegna stampa internazionale di Policy Maker

Netanyahu incontra Trump e lo candida al Nobel per la Pace, mentre Israele e Hamas discutono in Qatar la possibilità di un cessate il fuoco. Il Big, Beautiful Bill segna un parziale dietrofront sulle rinnovabili per l’economia americana. Nel frattempo il summit Brics a Rio de Janeiro fa i conti con le minacce di dazi aggiuntivi a chiunque si allinei alle politiche antiamericane.

LA VISITA DI NETANYAHU A WASHINGTON E I NEGOZIATI ISRAELE-HAMAS

Si è appena concluso l’incontro alla Casa Bianca tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e Donald Trump per discutere del conflitto a Gaza e delle prospettive di pace in Medio Oriente. Come sottolinea Reuters, l’incontro è stato il terzo tra i due leader da gennaio e si è svolto in un contesto di crescenti pressioni internazionali per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che in questo momento stanno avendo negoziati indiretti a Doha, in Qatar. Durante la cena nella Blue Room, Netanyahu ha lodato Trump, annunciando di averlo nominato per il Premio Nobel per la Pace e definendolo un leader che sta “forgiando la pace in un paese dopo l’altro”. Un tema centrale è stato il controverso piano di ricollocamento dei palestinesi da Gaza. A tal proposito Netanyahu ha dichiarato: “Se le persone vogliono restare, possono restare, ma se vogliono andarsene, dovrebbero poterlo fare”, suggerendo che Usa e Israele stiano collaborando con paesi vicini per offrire un “futuro migliore” ai palestinesi. Su questo fronte Trump ha aggiunto: “Abbiamo avuto grande cooperazione dai paesi circostanti, grande cooperazione da ognuno di loro. Quindi qualcosa di buono accadrà”. Com’è noto, tuttavia, questa proposta è stata criticata dai palestinesi e da gruppi per i diritti umani che l’hanno paragonata alla pulizia etnica, e paesi come Egitto e Giordania l’hanno seccamente respinta. Come scrive BBC, i negoziati a Doha, mediati da Qatar ed Egitto, si concentrano su una proposta americana per un cessate il fuoco di 60 giorni, che prevede il rilascio graduale di alcuni acostaggi – di cui 10 vivi e 18 corpi in cinque fasi – e il ritiro parziale delle truppe di Tel Aviv da Gaza. Ma Hamas insiste sulla fine definitiva della guerra e sul ritiro totale delle forze israeliane, oltre a pretendere un maggiore accesso agli aiuti umanitari che secondo essa dovrebbero essere gestiti dall’Onu, opponendosi alla distribuzione degli stessi da parte della Gaza Humanitarian Foundation, organizzazione sostenuta da Usa e Israele. Secondo Reuters, il rifiuto di Israele di garantire l’ingresso libero e sicuro degli aiuti umanitari rappresenta un ostacolo chiave al successo dei negoziati. Dal canto suo invece, sottolinea il New York Times, Tel Aviv rifiuta di cessare le operazioni finché Hamas non sarà definitivamente smantellato e tutti gli ostaggi rilasciati. Ciononostante Trump ha espresso ottimismo, dichiarando: “Non credo ci sia un intoppo. Penso che le cose stiano andando molto bene” e che c’è una “buona possibilità” di raggiungere un accordo con Hamas entro la settimana. Tale impressione è stata confermata da Netanyahu, che prima della conclusione del meeting ha detto: “L’opportunità di espandere il cerchio della pace è molto oltre ciò che potevamo immaginare”. Oltre che di Gaza, i leader hanno discusso delle relazioni con la Siria e dell’espansione degli Accordi di Abramo, con Trump che ha firmato un ordine esecutivo per revocare le sanzioni a Damasco. Il primo ministro israeliano ha incontrato anche il Segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale del presidente Steve Witkoff, mentre è previsto a breve un incontro anche con il vicepresidente JD Vance. 

GLI ASPETTI ENERGETICI DELLA NUOVA LEGGE FINANZIARIA USA

Come scrive l’Associated Press, la legge finanziaria – il famoso “Big, Beautiful Bill” secondo la dizione di Donald Trump – appena approvata dal Congresso Usa rappresenta un punto di svolta nella politica energetica americana, smantellando parte della legge sul clima del 2022 voluta dai Democratici sotto l’ex presidente Biden. La legge introduce significative modifiche agli incentivi per le energie rinnovabili, suscitando dibattiti accesi tra i sostenitori dell’energia pulita e quelli dell’industria dei combustibili fossili. Uno degli elementi più controversi della proposta iniziale era l’introduzione di una tassa sull’energia solare ed eolica, aggiunta al disegno di legge durante il fine settimana. Questa misura aveva suscitato forti proteste bipartisan, coinvolgendo sia legislatori che sviluppatori e sostenitori dell’energia pulita. La versione finale della legge ha eliminato questa tassa, ma ha comunque accelerato la rimozione degli incentivi fiscali per l’energia eolica, solare e altre fonti rinnovabili, ponendo fine a questi benefici prima di quanto previsto. Come ricorda l’AP, secondo i Democratici e le associazioni ambientaliste queste modifiche minacciano la crescita dell’industria eolica e solare, mettendo a rischio centinaia di progetti destinati a potenziare la rete elettrica nazionale. Abigail Ross Hopper, presidente della Solar Energy Industries Association, ha dichiarato all’agenzia di stampa Usa che la legge, se definitivamente approvata, porterà a un aumento delle bollette elettriche, alla chiusura di fabbriche e alla perdita di posti di lavoro, indebolendo la rete elettrica americana. Nathaniel Keohane, presidente del Center for Climate and Energy Solutions, ha definito la rimozione degli incentivi per l’eolico e il solare come “particolarmente miope”, sottolineando il rischio di un aumento dei costi energetici e di una minore affidabilità della rete. Dall’altra parte, continua l’AP, i Repubblicani e l’industria del petrolio e del gas, rappresentata dall’American Petroleum Institute, hanno accolto con favore la legge, considerandola un passo verso una nuova era di “dominio energetico”. La normativa promuove infatti lo sfruttamento di fonti tradizionali come petrolio, gas naturale e carbone, oltre a sostenere l’energia nucleare, con l’obiettivo di garantire maggiore affidabilità e risparmi per i contribuenti. Tra le misure approvate, spiccano l’aumento delle vendite di leasing per l’estrazione di petrolio nell’Arctic National Wildlife Refuge e il blocco per un decennio della tassa sulle emissioni di metano, mai implementata ma fortemente osteggiata dall’industria. Un compromesso dell’ultima ora consente ai progetti eolici e solari che iniziano la costruzione entro un anno dall’entrata in vigore della legge di beneficiare di crediti fiscali completi, senza scadenze per l’entrata in servizio. Tuttavia, i progetti successivi dovranno essere operativi entro il 2027 per accedere agli incentivi. La legge mantiene, invece, incentivi fino al 2032 per tecnologie come il nucleare avanzato, il geotermico e l’idroelettrico. 

IL SUMMIT DEI BRICS E LA MINACCIA DI DAZI DI TRUMP

Il recente summit del BRICS, tenutosi a Rio de Janeiro, ha segnato un momento cruciale per il blocco delle economie emergenti, ma è stato offuscato dalle minacce di nuovi dazi da parte di Donald Trump. Come riporta Reuters, il presidente Usa ha annunciato un ulteriore dazio del 10% su qualsiasi paese che si allinei alle “politiche anti-americane” del BRICS, senza però entrare nel dettaglio. La dichiarazione, pubblicata sulla sua piattaforma Truth Social, è arrivata poche ore dopo l’apertura del summit, ed è stata seguita da severe critiche dei leader del gruppo fondato vent’anni fa dalla Cina, che hanno descritto l’aumento dei dazi come una minaccia al commercio globale. Composto originariamente da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, il blocco si è ampliato includendo Egitto, Etiopia, Indonesia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, con altri 30 paesi interessati a unirsi. Questo ampliamento ha rafforzato il peso diplomatico del blocco, che rappresenta oltre la metà della popolazione mondiale e il 40% della produzione economica globale. Il presidente brasiliano Lula ha paragonato il BRICS al movimento dei non allineati della Guerra Fredda, definendolo un baluardo contro il protezionismo e un promotore di un ordine globale multipolare. Lo stesso Lula ha definito le minacce di dazi “sconsiderate”, dichiarando: “Non vogliamo un imperatore, siamo paesi sovrani”. Anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha criticato l’approccio punitivo degli Usa mentre la Cina ha condannato l’uso dei dazi definendolo una forma di diplomazia coercitiva. La dichiarazione finale del summit, lunga 31 pagine, ha evitato critiche dirette agli Stati Uniti, probabilmente per non provocare ulteriormente Washington, come osserva Oliver Stuenkel, professore della FGV University, citato da NPR. Tuttavia, questa strategia non ha impedito a Trump di intensificare le tensioni, anche sostenendo pubblicamente l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, rivale di Lula. Il documento ha invece espresso preoccupazione per la situazione umanitaria a Gaza, condannando gli attacchi israeliani, e ha chiesto riforme delle istituzioni globali come il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il Fmi. Nonostante le assenze di leader chiave come il presidente cinese Xi Jinping e l’iraniano Masoud Pezeshkian, il summit ha prodotto alcune iniziative concrete, come il progetto di un’iniziativa di garanzie multilaterali tramite la New Development Bank del BRICS per ridurre i costi di finanziamento. Inoltre, Cina ed Emirati Arabi Uniti hanno segnalato interesse per il Tropical Forests Forever Facility, un progetto brasiliano per la conservazione delle foreste.

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