Quale futuro per la Lega nel dopo-regionali? Le due interviste speculari a Matteo Salvini e Luca Zaia tracciano la rotta del Carroccio in vista dei prossimi appuntamenti elettorali
Il voto del Nordest ha offerto respiro politico alla Lega e rilanciato il profilo di due leader con approcci diversi, spesso in contrasto, ma non inconciliabili, il segretario Matteo Salvini e il recordman di preferenze Luca Zaia. La sfida adesso sarà trasformare il consenso in strategia duratura: tenere insieme squadra e territorio, modernizzare il linguaggio senza tradire le radici e prepararsi alle scadenze nazionali con un progetto condiviso.
Qualche indicazione importante sulla rotta della Lega arriva intanto dalle due interviste rilasciate a la Repubblica e al Corriere della Sera dai due maggiorenti della Lega a pochi giorni dal voto. Dentro, il cambio di simbolo, la partita della Lombardia, il futuro del Doge, il confronto interno al partito, la possibile riorganizzazione sul modello Cdu-Csu.
EFFETTO REGIONALI
La partita delle regionali ha ristabilito gli equilibri in Veneto tra Lega e Fratelli d’Italia, grazie anche allo straordinario contributo di Luca Zaia, capace di raggiungere quota 203.000 preferenze, diventando così il consigliere più votato nella storia italiana. Malgrado il calo generalizzato, il Carroccio ha mantenuto la presa sul suo fortino, mentre Fratelli d’Italia, pur in crescita rispetto al 2020, vede ridimensionata la sua ambizione di esprimere il candidato presidente in Lombardia e ottenere il primo governo in una grande regione del Nord.
Il primo effetto concreto del voto delle regionali è il muro paventato dal Carroccio sul disegno di legge sul consenso: qualora non cadesse, Fdi rischia di andare incontro a una seria spaccatura nella maggioranza. Un segnale che i rapporti di forza potrebbero cambiare e che Salvini ora vuole pesare di più nelle decisioni della coalizione.
PATTO SULLA LOMBARDIA VALIDO, MA URGE UN RITORNO AI TERRITORI
Il vicepremier racconta il voto veneto come frutto di un lavoro di squadra: “Il Veneto è un successo figlio della generosità della coalizione”, ripete, richiamando i 161 sindaci leghisti e l’elezione del 32enne Alberto Stefani come segnale di ricambio generazionale. Sottolinea la necessità di rispettare i patti con gli alleati — “per noi i patti restano validi” — e mette in chiaro che, almeno per ora, non è sua intenzione ribaltare gli accordi sul territorio: sulla Lombardia “è prematuro parlarne adesso” ed esclude l’ipotesi di elezioni anticipate per il Pirellone. Sul punto è d’accordo anche Zaia, il quale però mette le mani avanti sull’ipotesi di distanziare ulteriormente il partito dalla sua identità primigenia, e quindi anche dalle aree in cui la Lega è più radicata: “Per noi restano centrali l’identità, il federalismo, l’autonomia, la legalità. Pur dentro il solco del centrodestra, dobbiamo rappresentare l’anima liberale ancorata ai territori”.
IL FUTURO DEL DOGE
Protagonista di un vero e proprio trionfo personale, Zaia coglie il risultato come un’attestazione di fiducia: “Dopo 15 anni di governo significa aver lavorato bene per la mia terra. Il mio popolo mi è vicino”. ll Doge si schermisce sulle ipotesi di incarichi futuri: nell’immediato rimarrà consigliere, anche in supporto al giovane Stefani, poi si vedrà. Che lo aspetti la poltrona di sindaco di Venezia, dove ha raggranellato ben 7 mila voti, l’uninominale lasciato dal neogovernatore alla Camera, come suggerisce Salvini, o la presidenza dell’Eni, si saprà più in là, tanto più che si tratta di scadenze fissate alla prossima primavera: “Di sicuro ora, avendo più tempo, mi dedicherò di più al partito”.
LE QUESTIONI INTERNE E IL NODO VANNACCI
Sui dossier interni Salvini liquida le polemiche: difende la scelta di Vannacci come vicesegretario paragonando le sue esternazioni a quelle di Borghezio e Gentilini e svicola, rilanciando la regola d’oro che applica al suo team: «lavorare tanto, parlare poco». Allo stesso tempo non esclude un ragionamento su uno «spacchettamento» territoriale della forza, ma senza precipitare i tempi. Anche Zaia Esclude con nettezza le correnti come salvavita delle forze politiche: “Ho sempre odiato l’idea delle correnti… sono l’inizio della distruzione dei partiti”. E relativizza il peso di Vannacci, che ha mancato di congratularsi con lui dopo il risultato a valanga in Veneto: “Non è il mio benchmark, non ho bisogno di misurazioni, e i vicesegretari della Lega sono quattro, non solo uno”.
NESSUNA RIVOLUZIONE IMMEDIATA, MA IL SIMBOLO CAMBIERÀ
Sull’ipotesi di un assetto alla Cdu–Csu per la Lega, Zaia parla di proposta da discutere: un modello che metta al centro il radicamento territoriale senza scardinare l’unità del partito nazionale è una strada che parla la lingua del federalismo. Ma per adesso Salvini dichiara di concentrarsi sul suo incarico al Mit e rimanda scelte su assetti nazionali e riorganizzazioni di partito a dopo le Politiche 2027. Pur aperto al confronto — “sono disponibile a ragionare con tutti” — afferma che non intende riorganizzare la Lega a meno di un anno e mezzo dal voto nazionale. Mentre sulla legge elettorale mantiene una posizione di sostanziale neutralità, indifferente al maggioritario o al proporzionale, ed evitando di scoprirsi sul nodo dei collegi uninominali, probabilmente conscio che si tratta di un punto di contatto scivoloso con Fratelli d’Italia.
Tra le novità sul tavolo c’è anche il dibattito sul simbolo. Salvini ammette che si sta ragionando su proposte di modernizzazione: “Sarebbe curioso tenere la scritta Salvini premier“, riconosce. Insomma, Alberto da Giussano rimane il riferimento ideologico, Giorgia Meloni quello di coalizione.

