L’imboscata di Trump al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa: ecco chi è e perché il tycoon lo accusa di discriminare gli afrikaneer
Stavolta è il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa il protagonista dell’ormai rituale format televisivo nello Studio Ovale in cui Trump ha trasformato i bilaterali alla Casa Bianca.
Abile mediatore, tutt’altro che sprovveduto, l’attuale guida dell’African National Congress ha visto avverarsi i timori della vigilia, ma ha provato a non vacillare di fronte agli attacchi del presidente Usa, tornato ai toni che a marzo aveva riservato a Zelensky.
Ecco chi è e com’è andata.
COM’È ANDATO L’INCONTRO TRUMP E RAMAPHOSA
Sulle prime l’incontro sembrava procedere in maniera distesa. Come sottolinea Il Foglio, Rampahosa si è presentato all’appuntamento con Trump molto più preparato del presidente ucraino.
Accompagnato da una nutrita delegazione, di cui facevano parte anche due leggende del golf sudafricano, Ernie Els e Retief Goosen – Trump è un noto appassionato dello sport -, ha subito espresso l’intenzione di rilanciare “i rapporti economici tra Stati Uniti e Sudafrica”, facendo anche riferimento ai minerali rari di cui è ricco il proprio Paese. Una manovra per cercare di ammansire il tycoon, che ha recentemente sospeso i finanziamenti statunitensi al Sudafrica ed espulso l’ambasciatore sudafricano da Washington.
Ma i toni sono rapidamente degenerati quando Trump ha tirato in ballo la teoria del complotto, rilanciata anche da Elon Musk, presente all’incontro, secondo cui in Sudafrica sarebbe in corso un “genocidio” contro i discendenti dei coloni bianchi, gli afrikaner: “Le loro terre vengono espropriate, vengono uccisi, e il governo non fa nulla”, ha detto Trump.
Ramaphosa ha provato a smentire le accuse, spiegando che gli episodi di violenza sono il frutto dell’azione di “una minoranza di estremisti” e non rappresentano la linea del governo. Ha poi cercato di smorzare i toni, evitando che il confronto precipitasse ulteriormente.
Ma Trump ha rincarato la dose, alludendo ai 49 afrikaner accolti da Washington, che si dicono vittime di una persecuzione razziale e hanno trovato accoglienza negli Usa. un paradosso se si pensa alle posizioni di Trump diritto d’asilo diritto d’asilo, per esempio, ai rifugiati da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela.
CHE COS’È L’EXPROPRIATION ACT
Come spesso accade, senza mezze misure e appellandosi a notizie sommarie, Trump voleva alludere a una normativa introdotta a gennaio da Ramaphosa – l’Expropriation Act – che autorizza lo Stato sudafricano a espropriare terreni privati, anche senza indennizzo, qualora ciò sia considerato di interesse pubblico.
Lo scopo ufficiale di questa riforma è sanare le ingiustizie ereditate dall’apartheid, in cui una minoranza bianca – appena il 7% della popolazione – possiede il 75% delle aziende agricole. Per l’amministrazione Trump si tratta di una misura razzista.
CHI È CYRIL RAMAPHOSA
Vicino a Nelson Mandela, simbolo della liberazione dal regime dell’apartheid, Ramaphosa è considerato uno dei padri della Costituzione sudafricana promulgata nel 1994. Originario di Soweto – una delle principali “townships” di Johannesburg e autentico epicentro della lotta contro la segregazione razziale che ha cambiato la storia del Sudafrica – Ramaphosa ha cominciato la sua militanza negli anni Settanta, mentre studiava giurisprudenza, unendosi al movimento studentesco anti-apartheid.
Nel 1982 ha contribuito alla fondazione del National Union of Mineworkers, uno dei sindacati più forti del Paese, che sotto la sua guida ha raggiunto decine di migliaia di iscritti.
All’inizio degli anni Novanta, Mandela lo ha scelto come capo negoziatore dell’African National Congress (ANC) per porre fine pacificamente all’apartheid.
Dopo un lungo periodo fuori dalla politica – durante il quale ha accumulato una notevole fortuna nel settore privato fondando il gruppo Shanduka e collaborando con aziende come McDonald’s Sudafrica, MTN e Lonmin – è tornato alla guida del Paese.
Nel 2014 è stato nominato vicepresidente della Repubblica nel governo di Jacob Zuma, assumendo anche la presidenza della Commissione Nazionale di Pianificazione, con l’obiettivo di elaborare strategie per lo sviluppo economico e la lotta alla povertà.
Nel 2017 viene eletto presidente dell’ANC e l’anno successivo diventa il quinto presidente della Repubblica del Sudafrica. Da allora, ha cercato di imprimere un cambio di passo, puntando su riforme anti-corruzione, rilancio economico e riconciliazione sociale, nonostante alcune ombre sul suo passato politico – lo scandalo Farmgate per esempio, o il controverso ruolo nella strage di Marikana – e i problemi strutturali che deve affrontare il Paese, con tassi di disoccupazione altissimi (oltre il 25%), continue crisi energetiche e ora il dibattito esplosivo sulla riforma agraria.